Sesso e politica? No, metateatro...

La Susanna di Sarah Fox ed il Conte di Mariusz Kwieicen esaltano un ottimo cast nel riallestimento delle Nozze di Figaro a Glyndebourne

Recensione
classica
Glyndebourne Festival Glyndebourne
Wolfgang Amadeus Mozart
05 Luglio 2003
Napoleone Bonaparte considerava Beaumarchais un uomo pericoloso: 'Se fossi stato re, un uomo di quel genere sarebbe finito in prigione'. Il motivo? Le Mariage de Figaro, che vedeva come la rivoluzione in atto. Non per niente Luigi XVI aveva bandito il lavoro, perché derideva ogni aspetto del governo che meritasse rispetto. Certo è impossibile per il pubblico moderno recepire Le nozze di Figaro con la stessa prospettiva degli spettatori settecenteschi, specialmente in un clima in cui nulla è intoccabile, tantomeno le gerarchie politiche, e si è liberi dall'oltraggio di lesa maestà. Stranamente però, Figaro non ha perso di impatto, sebbene l'accento sia spesso spostato sulle dinamiche sessuali che si intrattengono tra i protagonisti. Ma forse i due motivi non sono tanto differenti, perchè le politiche del sesso sono dopotutto giochi di potere, ed è di potere che in Figaro si parla: un potere eugenetico non basato sulla caratura morale ma sulla ricchezza, che quando è abusato merita di essere deriso e nullificato. Era l'anima massone di Mozart ad aver scelto il lavoro potenzialmente esplosivo di Beaumarchais come soggetto, e sebbene non sia apparente come nel Flauto Magico, la luminosità della commedia è rivaleggiata da un substrato oscuro e pericoloso, da un'anima scura. Da questo punto di vista quindi era stata abbastanza deludente la scelta di Graham Vick di fare della sua produzione, originata nel 2000 nel contesto di una trilogia delle opere di Da Ponte, una riflessione metateatrale che vedeva i tre lavori ambientati nello stessa scena, una sala di prova. Questo spazio per Figaro veniva ridisegnato in un labirinto di stanze e porte attraverso delle pareti divisorie trasparenti, che non sempre sono tali per i protagonisti, inizialmente in abiti moderni e i cui costumi settecenteschi divengono più rifiniti con lo svolgersi dell'azione. E' quasi un amplificazione del finale dell'opera, un classico di finzione teatrale dove tutti i caratteri giustificano i fraintesi che muovono la macchina comica con il fatto di essere nell'oscurità più profonda. Ma le motivazioni più profonde di questa scelta rimanevano oscure al pubblico. Nonostante queste limitazioni, il riallestimento di Daniel Farncombe produce uno spettacolo estremamente piacevole e divertente, che fa virtù della scenografia e guarda con leggerezza al lato più concettuale della produzione. In questo è aiutato da un ottimo cast, in cui primeggiano, e non solo all'inizio del terzo atto che si muove su altri livelli, il Conte di Mariusz Kwiecien, scuro, presuntuoso, irritabile, raffinato, ma allo stesso tempo ingenuo, e la Susanna di Sarah Fox, una delizia per l'occhio e per il cuore, la cui voce, fresca e di limpidezza cristallina, è dotata di una rara bellezza, ed è accompagnata da una struggente musicalità: 'Deh vieni', interpretato senza affettazioni e diretto all'innamorato, lascia il teatro con il fiato sospeso. Christopher Maltman è efficace nel ruolo di Figaro, Linda Tuvas un Cherubino divertente, e la Contessa di Ruth Ziesak ha dei momenti di inusuale bellezza, ma la grande forza del cast è nei comprimari, in particolare John Graham-Hall, il cui Basilio raggiunge impensati livelli di viscidità, mentre la Marcellina di Diana Montague, pur privata della sua aria di bravura, riesce consistentemente a rubare la scena. La London Philharmonic Orchestra è diretta da Mark Wigglesworth, che non sembra avere una istintiva relazione con il palcoscenico, almeno in questo repertorio, ma una scelta di tempi a volte discutibile non riesce a rovinare l'effetto generale. Come sempre, il coro di Glyndebourne è il fiore all'occhiello della compagnia.

Regia: Graham Vick

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