Scarlatti senior e junior, Durante e Pergolesi per concludere il festival Barò 2025

La splendida musica di quattro compositori legati a Napoli in quattro modi diversi 

 

Enea Barock Orchestra
Enea Barock Orchestra
Recensione
classica
Roma, Chiesa di S. Maria in Vallicella
Enea Barock Orchestra
24 Maggio 2025

Nonostante la riscoperta della musica del periodo barocco, molte composizioni di autori anche importantissimi resterebbero ancora oggi totalmente ignorate, se non esistesse il disco: ad offrire l’occasione di ascoltane quattro è stata l’Enea Barock Orchestra nel concerto conclusivo del Festival “Barò 2025”, realizzato con il contributo della Regione Lazio. Potremmo riferirne secondo l’ordine d’esecuzione dei brani o il loro ordine cronologico, ma andiamo direttamente ai due brani di maggior peso, le Salve Regina di Domenico Scarlatti e di Giovan Battista Pergolesi, il primo napoletano ma vissuto quasi sempre lontano da Partenope, mentre il secondo era iesino ma trascorse a Napoli gli ultimi undici fondamentali anni della sua brevissima vita. 

A trent’anni d’età Scarlatti junior fu nominato maestro della Cappella Giulia nella Basilica di San Pietro, un incarico di grande prestigio: in quel periodo dovette comporre molta musica sacra, che è andata in gran parte perduta, mentre si ritiene che l’antifona mariana Salve Regina sia stata da lui composta in Spagna nei suoi ultimi mesi di vita, tra il 1756 e il 1757. 

Tali questioni di datazione passano in secondo piano di fronte allo splendore di questa musica. Già l’inizio è folgorante. La prima invocazione “Salve Regina” sembra esprimere tenero e dolcissimo amore di una madre verso i suoi figli più che la compunta devozione del credente alla madre di Dio. Presto Scarlatti passa dal maggiore al minore e prosegue con un percorso armonico alquanto audace per l’epoca, raggiungendo nelle sezioni successive una tragicità composta ma profonda, che il dolore dell’intera umanità e la sua richiesta di soccorso alla madre divina: “exsules … ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrimarum valle… illos tuos misericordes oculos ad nos converte”. Difficile trovare tanta sincera e umanissima emozione nella musica di quell’epoca e di tutte le epoche. La serena felicità ritorna al solo nominare Gesù, “benedictum fructum ventris tui”. Serenità, poi tristezza e infine esultanza si succedono nell’ultimo versetto: “O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria”. Difficile trovare una simile meravigliosa capacità di valorizzare le doti melodiche ed espressive della voce umana, a cui la piccola orchestra dà un sostegno essenziale.

Anche Pergolesi compose due Salve regina, una in do minore nel 1736, il suo ultimo anno di vita, e l’altra - quella ascoltata ora - in la minore, meno nota, di cui non si conosce l’anno di composizione, che tuttavia, data la brevità della sua vita, deve essere collocato tra il 1730 e il 1736. La tonalità minore le dà una tinta dolcemente malinconica, che, ad eccezione di qualche momento più pregnante, si spande un po’ uniformemente sull’intero brano, perché Pergolesi mira a una cantabilità soffusa e diffusa, più che a un’espressività pregnante ed aderente al testo, come invece farà di lì a poco nel celeberrimo Stabat Mater Roberta Invernizzi ha cercato di infonderle un vigore espressivo che non ha giovato a questa musica, perché altera la delicata ispirazione pergolesiana senza riuscire ad infonderle una varietà e una forza che non ha. Ma che sia una grande interprete della musica barocca lo aveva confermato nella magnifica interpretazione della Salve Regina di Scarlatti. Come bis ha offerto un’altra e meno nota antifona mariana, Haec est Regina virginum, composta dal ventiduenne Haendel nel 1707 durante il soggiorno a Roma, che fu determinante per i futuri sviluppi della sua arte. La severità mista alla sensualità di questa musica lo ritraggono proprio nel momento in cui era per una metà ancora un musicista del nord della Germania e per l’altra metà già “italiano”.

Le altre composizioni in programma erano due concerti di Alessandro Scarlatti e Francesco Durante. Scarlatti senior morì trecento anni fa e la ricorrenza ha indotto alcune - purtroppo solo alcune - istituzioni musicali italiane a recuperare alcune sparse composizioni del suo catalogo, ancora oggi vastissimo sebbene privato di un gran numero di opere andate perdute per sempre. In quest’occasione è stato eseguito il suo Concerto grosso n. 3 in fa maggiore, tratto dalla raccolta “Six Concertos in seven parts”, pubblicata a Londra nel 1740, quindici anni dopo la sua morte. Alessandro Scarlatti visse a lungo a Roma, proprio negli anni in cui Corelli “inventava” il concerto grosso, e sicuramente ne riprese lo stile e la forma. Sono cinque brevi movimenti, alternativamente lenti e veloci, in uno stile piuttosto severo, con largo uso del contrappunto ma con un finale vivacissimo in ritmo di danza, che riserva anche qualche sorprendente cambio di direzione e di atmosfera.

I quattro autori in programma sono riconducibili in un modo o nell’altro a Napoli ma l’unico integralmente napoletano è Francesco Durante, che ebbe un ruolo fondamentale anche come insegnante di molti compositori di scuola napoletana. Questo gli ha guadagnato grande fama come docente, che è andata a scapito della sua propria musica: a dimostrazione che è anche un eccellente compositore, tutt’altro che pedante e barbogio, è stato eseguito il Concerto in sol minore per archi e basso continuo, cantabile e “affettuoso”, con qualche impegnativo passaggio virtuosistico per il primo violino. La parte del primo violino è stata sostenuta con grande sicurezza e bel piglio solistico dal giovane Gabriele Pro, che era anche il maestro di concerto e ha guidato l’ottima Enea Barock Orchestra, qui in formato ridotto.

Il pubblico gremiva la Chiesa di Santa Maria in Campitelli, splendida architettura barocca di Claudio Rainaldi e ambiente ideale per queste musiche. Grande il successo, coronato – come si è detto – da un bis haendeliano.    

 

 

 

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