“Perché non mi guardi” così dice Salome alla testa decapitata di Jochanaan - così gli fa eco Strauss nel libretto della sua opera in un atto. Esiste un teatro colto a Berlino, pensato, per riflettere sulla metafisica e le religioni, e portarli nel presente. Ne è la prova, in scena in questi giorni, lo spettacolo con la regia di Claus Guth alla Deutsche Oper di Berlino. Affascinante, con ambientazione contemporanea, e con malizie piccanti mai scontate, tappa di un ciclo di opere dell'autore in questa stagione per il teatro tedesco. Il regista mantiene una rara attenzione per la scena e cura dei particolari: i movimenti a tratti scattosi come pupazzi uniti a idee meditate ed intrecci simbolici, doppi personaggi e proiezioni di Salome da bambina. Una regia poco più che sperimentale, vivace, vera ed in linea con la bellezza moderna del libretto e lo specchio antico della tragedia. Velato il gusto del sesso, misto a sangue orrore e violenza, anzi la Danza dei sette veli è piuttosto sobria, ma profonda nel riflettere la colpa della perversione nell’intento. Il tutto inscritto nella sfera dell'immaginario delle perversioni latenti di Salome. Il sipario si apre nel silenzio, la musica comincia dopo con un motivo che allude a Salome su una scala orientale. L’allestimento ha il tratto a tinte nette, marrone e nero, semplici, delle scene e costumi di Muriel Gestner: vestiti anni cinquanta per le donne e uomini, grandi e piccine, e una boutique di abbigliamento che prima è luogo di misteri e poi di danze incestuose. Erode ne è il proprietario. Non è denudata la poveretta quindi, ma attratta dal corpo di Jochanaan - egli appare nudo. Salome non è trasformata in una soubrette o sensuale baccante, si aggira nella boutique comandando il da farsi. Qui le coreografie della danza dei sette veli sono perfetto momento androgeno e paradossalmente meno erotico, non significano Oriente. Cariche di lussuria invece le scene della testa tagliata e della bocca baciata, il gesto però è sublimato.
Ma la qualità del teatro si fa proprio sulle ambientazioni nette e delineate. La drammaturgia qui è giusta su tempi e spazi con Salome da bambina che esce pungente dall'insieme sonoro, tra la moltitudine di personaggi secondari esili di voce ma di gran recitazione. E le luci di Olaf Freese sfilano ingegnosamente per momenti. L'attenzione si sposta alla musica, con la protagonista Allison Oakes, che ha sostituito Catherine Naglestad, audace e solida nella voce, efficace nella recitazione. Tragica, comunque, l'altra faccia dell'eros, con abiti di ricchi borghesi, in un Europa anni Cinquanta, rispetto alla spontanea e mistica come da libretto. Strauss vuole identità di suono, brillantezza e colore - qui l'eccellente Alain Altinoglu alla guida dell'orchestra del teatro, mette in rilievo la passione vibrante della partitura e l'eccezionale presenza timbrica di idiofoni (castagnette e xilofono), timpani variegati e dell'inconsueto heckelphon. Organo e armonium danno corposità al risultato timbrico, materico.
La compagnia di canto ha ai due antipodi Thomas Blondelle Herodes, sublime e Jeanne Michéle Charbonnet in Herodias, drammatica - opposti per vocalità e gestualità. In mezzo, varie inquietudini tenebrose della partitura in Jochanaan, Michael Volle, e Narraboth, Attilio Glaser. Tutti, compresi la moltitudine di personaggi secondari, cantano bene. La Deutsche Oper piena sabato sera. Lunghi applausi.
Interpreti: e Bernhard Ulrich, Herodiade Jean Michele Charbonnet, Salome Allison Oakes , Jochanaan Michael Volle, Narraboth Thomas Blondelle, Page Annika Schlicht, primo ebreo Paul Kaufmann, secondo ebreoGideon Poppe, terzo ebreo Jorge Schorner, quarto ebreo Clemens Bieber, quinto ebreo Stephen Bronk, primo Nazareno Noel Bouley, secondo Nazareno Thomas Lehman, primo soldato Alexei Botnarciuc, secondo soldato Tobia Kehrer, schiavo Matthew Pena
Regia: Claus Guth
Costumi: Muriel Gerstner
Corpo di Ballo: Operballets der Deutschen Oper Berlin
Coreografo: Sommer Ulrickson
Orchestra: Deutschen oper Berlin
Direttore: Alain Altinoglu
Luci: Olaf Freese