Roma Festival Barocco a Palazzo Farnese

Quattro cantanti donne e un’orchestra tutta al femminile per un concerto di arie barocche

Roma Festival Barocco - Palazzo Farnese
Roma Festival Barocco - Palazzo Farnese
Recensione
classica
Roma, Palazzo Farnese
Arie barocche
05 Dicembre 2022

Nel 2022, il primo anno dopo le limitazioni imposte dal Covid, il direttore artistico Michele Gasbarro ha molto arricchito l’attività del il Roma Festival Barocco: ha anticipato infatti l’inizio al 23 settembre con un nutrito programma di concerti - sette in una settimana - nelle chiese barocche di Roma, tra le quali c’è solo l’imbarazzo della scelta, ma si sono saggiamente selezionate quelle che per dimensioni ed acustica sono le più adatte a questa musica. E si è proseguito anche nelle domeniche di ottobre. Poi, come negli anni precedenti, si è svolta una serie dei concerti d’organo, in chiese periferiche di non grande pregio architettonico ma dotate di ottimi e sottoutilizzati organi.

A novembre un’altra novità, ovvero quattro concerti, uno per ogni domenica del mese, all’ora dell’aperitivo e in una insolita location nel quartiere Garbatella, uno dei cuori della movida romana: non c’è motivo di scandalizzarsi, perché buona parte della musica barocca veniva ascoltata mentre si festeggiava, si banchettava, si chiacchierava. Immaginiamo che la finalità di questi concerti-aperitivo non fosse tornare a quel tipo di fruizione, ma sdrammatizzare l’approccio ad una musica che per molti è arcana, lontana, noiosa e così conquistare magari qualche nuovo ascoltatore.

Dicembre, che era il periodo abituale del festival, è rimasto il momento più intenso del Roma Festival Barocco: sarà un gran finale con due settimane di concerti quasi quotidiani, non solo nelle chiese, che erano la sede abituale del festival, ma anche in palazzi, biblioteche, oratori. Un concerto d’eccezione è stato quello a Palazzo Farnese, uno dei più magnifici palazzi del pieno rinascimento di Roma e del mondo intero, che da un paio di secoli ospita l’Ambasciata di Francia. Il concerto si è svolto nella sala dell’Ercole Farnese, così chiamata perché un tempo vi era collocata la colossale statua d’Ercole - ora a Napoli - ritrovata nelle Terme di Caracalla. Proprio perché è la sede dell’ambasciata francese, non si poteva far entrare tutti, per motivi di sicurezza, ma gli esclusi hanno potuto seguire il concerto in streaming. Gli happy few non erano però così pochi, perché. giudicando ad occhio, dovevano essere almeno trecento, che non sono pochi per un concerto di arie barocche.

Roma Festival Barocco - Palazzo Farnese
Roma Festival Barocco - Palazzo Farnese

Anche quest’anno il Covid ha voluto far sentire la sua infausta presenza, perché Patrizia Ciofi non ha potuto partecipare al concerto, in quanto - come è stato annunciato - è risultata positiva al virus. Auguri di pronta guarigione! È stata trovata rapidamente una validissima sostituta in Eleonora Bellucci, ma inevitabilmente si è dovuto leggermente modificare il programma. Un pizzico di suspense si è creata quando ci si è resi conto che il programma non seguiva più quello annunciato prima del forfait della Ciofi ma nemmeno quello scritto sul foglietto stampato in gran fretta e consegnato all’ingresso. Meglio così, perché la sorpresa era proprio uno dei principi dell’arte barocca. Comunque il principio ispiratore del concerto non è mutato: un omaggio alle grandi virtuose della prima metà del Settecento. e parallelamente una serie di arie barocche per lo più rare, alcune di compositori finora un po’ tanto trascurati. S’iniziava con la Sinfonia dall’Ariodante (1716) di Carlo Francesco Pollarolo, compositore bresciano che ha dominato per quarant’anni i palcoscenici veneziani (con qualche puntata anche a Roma). Era una sinfonia ampia, in due movimenti, che dimostrava come l’orchestra veneziana fosse usata con un certo qual piglio da un compositore della generazione precedente a Vivaldi, ma senza la sua geniale sensibilità per gli strumenti. In questo brano si faceva apprezzare l’altra protagonista della serata (le altre erano ovviamente le voci) ovvero la Enea Barock Orchestra, fondata recentemente e formata interamente da donne biancovestite (erano una ventina, quindi finalmente un’orchestra barocca non striminzita) provenienti da varie nazioni ma con sede a Roma. Valeria Montanari ne è il direttore/trice al cembalo. È un’ottima orchestra, con qualche margine di perfezionamento, ma già assolutamente all’altezza dell’impegno.

Prima delle quattro cantanti, c’è stato spazio anche per un controtenore, Nicholas Tamagna, che ha interpretato la cantata Carissima figlia  di Benedetto Marcello, un brano veramente raro e curioso. Il testo è una (sedicente) lettera scritta da un maestro di canto del primo Settecento ad una sua allieva, in cui lo scrivente parla delle grandi cantanti di quegli anni e ne descrive qualità e caratteristiche vocali. Marcello, che è esilarante quando scrive il libello satirico Il teatro alla moda, è purtroppo piuttosto noioso quando scrive musica: ma probabilmente questa cantata, consistente in pratica di un unico lungo recitativo, sarebbe stata più ironica e divertente se si fosse potuto capire il testo, che, forse anche per l’acustica della sala, rimaneva quasi completamente misterioso.

La prima delle prime donne ad esibirsi è stata Francesca Ascioti, che ha cantato “Leon feroce che avvinto freme” dall’Ormisda  (1722) del fiorentino Giuseppe Maria Orlandini (da non confondere con l’omonima aria dal Farnace  di Vivaldi, che è del 1727). È un’aria un po’ schematica ma di pura bellezza, cantata benissimo dalla Ascioti, che ha un timbro bello e limpido e scende con naturalezza alle note gravi del contralto, senza quei suoni gutturali e artificiosi di tanti contralti odierni. Come bis la Ascioti ha cantato altrettanto bene un’aria che non sollecita particolarmente il registro di contralto, ovvero “Lascia la spina” dall’oratorio il trionfo del tempo e del disinganno,  scritto da Haendel a Roma nel 1707/1708, diventata  famosissima nella versione riciclata da Haendel stesso nel Rinaldo  (1711) col titolo “Lascia ch’io pianga”.

Vivica Geanaux - Roma Festival Barocco - Palazzo Farnese
Vivica Geanaux - Roma Festival Barocco - Palazzo Farnese

Poi “Sento ancor quel dolce labbro” dall’Arsace  (1718) del lucchese Michelangelo Gasparini: un’aria dai risvolti patetici (“dirmi addio”, “vado a morir”) cantata benissimo da Paola Valentini Molinari, che ha pochi paragoni in queste arie semplici (quindi difficilissime) e meste, afflitte, toccanti. Peccato solo per un paio di note acute non particolarmente smaglianti. Ma poi come bis ha cantato un’aria che non sollecita particolarmente il registro acuto - “Prendi quest’ultime tenere lacrime” da Amare e fingere  (1676) di Alessandro Stradella - ed allora è stato un perfetto momento d’incanto e commozione purissime.

Dopo un’aria non indicata nel programma, che non siamo riusciti a riconoscere, Eleonora Bellocci ha cantato come bis “Tornami a vagheggiar” dall’Alcina  (1735) di Haendel, in modo ineccepibile, con assoluta padronanza e sicurezza, senza lasciarsi turbare dall’essere intervenuta all’ultimo momento.

Infine Vivica Genaux, ovvero la diva della serata. Prima ha cantato “Navicella che al mare si affida” da Il trionfo di Camilla  (1725) di Leonardo Vinci, con bella varietà d’accenti, poi come bis “Agitata da due venti” dalla Griselda  (1735) di Vivaldi, facendone uno sfavillante sfoggio di vorticoso virtuosismo. Le variazioni delle prime due ripetizioni della parte A di quest’aria erano elettrizzanti, mentre quelle delle ultime due ulteriori riprese erano tropo eccessive, fin quasi a diventare caricaturali: ma quanto a padronanza tecnica, a precisione e nitidezza dei passaggi più veloci non si può dire altro che chapeau!

È stato un grande successo, come lascia capire anche il numero dei bis citati sopra.

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