Riscoprire Charlotte Salomon
Milano: la quarta edizione di PianoSofia
La quarta edizione di PianoSofia, diretta da Silvia Lomazzi e Luca Ciammarughi, oltre a proporre accostamenti fra musica, filosofia e pittura, ha fatto scoprire angoli di Milano poco frequentati (come la Fonderia Napoleonica o il Palazzo degli Uffici Finanziari) per ascoltare brani per pianoforte, anche con organico orchestrale ridotto, o per pianoforte in duo con violoncello e arpa, da Mozart a Brahms, da Rameau a Schumann, a Ravel, a Ginastera. Solisti lo stesso Ciammarughi (coi Solisti di Milano Classica), Mayaka Nakagawa, Giacomo Menegardi (col Quartetto Indaco), Costantino Catena. Accompagnati da commenti a briglia sciolta di critici, liberi coversatori, come Nicole Janigro, Eric Veron, Dario Falcone, Chiara Mirabelli, Ivan Paterlini, e da letture poetiche affidate ai giovani del Centro Teatro Attivo e ad Annina Pedrini. Ma è alla Fondazione Feltrinelli che il 14 ottobre è andata in scena una vera e propria pièce, Lotte e Armonia, dedicata a Charlotte Salomon, pittrice di origine ebraica morta in campo di concentramento a 26 anni. Figura poco conosciuta e dalla biografia complicata, ha lasciato un libro di brevi testi illustrati da lei stessa, nel quale parla di sé, dei genitori, dei nonni, mascherando tutti, compresa se stessa, con pseudonimi per riuscire a raccontarne i tragici destini. Su questa documentazione Susanna Carbone, Nicole Janigro e Silvia Lomazzi hanno inventato una sorta di Singspiel con musiche (quelle citate nel testo della Salomon), canto e immagini; protagonisti il mezzosoprano Cecilia Bernini, il tenore Mirko Guadagnini, gli attori Marta Comerio ed Elia Schilton e la pianista Silvia Lomazzi, regia di Sonia Antinori. A parte il piacere di scoprire come pianoforte, voci che cantano e recitano, tempere proiettate sul grande schermo, si arricchiscano continuamente fra loro, la vera scoperta è Charlotte Salomon che racconta del suicidio della nonna e della madre, pesante fardello da cui non riesce a liberarsi, che ritrae la disgregazione della famiglia e se stessa con precisione maniacale, tra ricordi e rimpianti, spesso addentrandosi con grande sensibilità nella misteriosa terra di confine fra parola e melodia. Insomma si finisce per riceverne una tale spontaneità narrativa, che è impossibile prenderne le distanze. E per fortuna lo spettacolo si ferma al 1940, perché prima di venir deportata nel lager dove morirà incinta di cinque mesi, Charlotte (la testimonianza è in una sua lettera) aveva avvelenato il nonno, che probabilmente l'aveva un tempo insidiata, e l'aveva ritratto mentre stava agonizzando.
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