Questi fantasmi
Ricostruire il Suono
Recensione
classica
In tempi di Retromania e di spettri del passato che non cessano di visitare i sogni del contemporaneo, la Biennale Musica 2011 (che aperto le "danze" con i fantasmi di Bartòk e Stravinskij, come diciamo in altra parte del sito) ha offerto ai suoi spettatori due interessanti momenti di "ricostruzione" di esperienze sonore della recente storia musicale.
Nella Sala degli Arazzi della Fondazione Giorgio Cini, dotata di un ottimo impianto a otto canali voluto dal compianto Giovanni Morelli, è stata ricostruita in base ai documenti sonori conservati presso l’Archivio Luigi Nono A floresta é jovem e cheja de vida, composizione basata sui testi di lotta studentesca, operaia e antimperialistica della metà degli anni Sessanta.
Riascoltare oggi A floresta, con gli interpreti di allora (da Liliana Poli al Living Theatre, passando per il clarinetto di Bill Smith e gli "stimolatori" di lastre di rame) è un’esperienza ancora molto forte: chiaramente i temi sono strettamente legati all’attualità di allora, ma è l’intera drammaturgia sonora allestita da Nono – analogamente a quanto è emerso dal recente allestimento alla Fenice di Intolleranza – a colpire, con il crescendo delle voci e la violenza dell’elettronica.
Si poteva osare di più col volume: forse qualche "testa canuta" (come dice Quirino Principe) non avrebbe gradito, ma per il pubblico più giovane sarebbe stata una buona occasione per relativizzare la rivoluzionarietà di qualche odierno manipolatore elettronico!
Se i fantasmi di Nono continuano a infestare il presente con il clangore delle loro catene, non fanno più paura quelli Fluxus, evocati nella Sala dei Concerti del Conservatorio: il programma abbinava il Teatrino per attori, strumenti e oggetti di Giuseppe Chiari alla Neo haiku suite di Giancarlo Cardini, entrambe performate dal Collettivo Rituale diretto da Riccardo Vaglini.
Tra frammenti di sonate beethoveniane, trame di film, rumori di aspirapolvere, lingue di Menelik, piatti rotti e battaglie floreali, a mancare – insieme, come prevedibile, alla sorpresa e all’imprevedibilità – è stato proprio il fascino della ritualità, ricacciando così queste esperienze nell’alveo storico da cui provengono senza trovare gli spunti per rigenerarne la forza.
Ah, questi fantasmi!
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