Quel Titano di Mehta

Emozionante ritorno sul podio dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino del suo direttore onorario con Mozart e Mahler

Mehta, Di Cicco, Orchestra del Maggio
Mehta, Di Cicco, Orchestra del Maggio
Recensione
classica
Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Mehta, Di Cicco, Orchestra del Maggio
28 Marzo 2025

Forse non tutti gli ascoltatori abituali, anche quelli di lunghissimo corso come chi scrive,  hanno l’occasione di di seguire un direttore per sessant’anni e passa, e di constatare che cosa significa il passare del tempo nella carriera di una grande bacchetta e nelle sue interpretazioni. Crediamo che questo concerto abbia dato molti elementi in questo senso, perché prevedeva due autori che Mehta a Firenze come altrove ha diretto tanto, e su cui era possibile avere conferme o ulteriori spunti e elementi di confronto. Il concerto per clarinetto di Mozart ha infatti confermato l’idea generale del Mozart di Mehta negli ultimi anni e forse decenni: arrotondato nei contorni, morbido e pieno nelle sonorità, forse fondato sulla sua formazione viennese negli anni Cinquanta, tranquillo e affettuoso ma anche piuttosto lindo, perché, anche grazie all’interpretazione che ne ha dato il giovane e valente primo clarinetto del Maggio Edoardo Di Cicco, mancavano per fortuna i fraseggi manierati e le “riverenze” del Mozart vecchio stile, e il fraseggio risultava convincente in quanto pulito e rettilineo. Ed eccoci alla seconda parte del concerto, in cui Mehta dirigeva, come già molte volte a Firenze su questo podio, e sicuramente nel resto del mondo musicale, la Prima di Mahler, “Il Titano” come è anche nota. Adesso l’ha diretta a ottantanove anni, l’ha diretta a memoria, e con un gesto oramai molto concentrato ed essenziale, e con una visione d’insieme che è quella di sempre, il Mahler di Mehta, ma ancora più concentrata e deprivata di gestualità (ma non certo di intensità), in cui tutti i tratti che caratterizzano il linguaggio di Mahler, le sue fantasie, i richiami campestri delle orchestrine popolari, le danze robuste, gli echi fatali delle fanfare, le  rivisitazioni tra affettuose e grottesche della musica popolare (come nel famoso Fra’ Martino, con l’assolo del primo contrabbasso ben realizzato da Riccardo Donati), anche le esplosioni eroiche e tragiche, avevano un’espressione profonda e efficace, ma misurata, e come spiritualizzata rispetto a esecuzioni più all’insegna del colossale che avevamo ascoltato da Mehta in passato. In questa chiave anche Blumine, l’andante soppresso da Mahler, che però negli ultimi anni è rientrato in tante esecuzioni (fra cui anche di Mehta a  Firenze), ci è sembrato, per la prima volta, coerentemente inserito nella sinfonia. Come sempre quando torna Mehta viene ripagato dal pubblico, a teatro strapieno come ci si aspettava,  con tutto l’affetto che si merita, e cioè con un successo colossale, giustamente esteso anche all’orchestra, in ottima forma e come sempre fedele al suo direttore.

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