Quel Titano di Mehta
Emozionante ritorno sul podio dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino del suo direttore onorario con Mozart e Mahler

Forse non tutti gli ascoltatori abituali, anche quelli di lunghissimo corso come chi scrive, hanno l’occasione di di seguire un direttore per sessant’anni e passa, e di constatare che cosa significa il passare del tempo nella carriera di una grande bacchetta e nelle sue interpretazioni. Crediamo che questo concerto abbia dato molti elementi in questo senso, perché prevedeva due autori che Mehta a Firenze come altrove ha diretto tanto, e su cui era possibile avere conferme o ulteriori spunti e elementi di confronto. Il concerto per clarinetto di Mozart ha infatti confermato l’idea generale del Mozart di Mehta negli ultimi anni e forse decenni: arrotondato nei contorni, morbido e pieno nelle sonorità, forse fondato sulla sua formazione viennese negli anni Cinquanta, tranquillo e affettuoso ma anche piuttosto lindo, perché, anche grazie all’interpretazione che ne ha dato il giovane e valente primo clarinetto del Maggio Edoardo Di Cicco, mancavano per fortuna i fraseggi manierati e le “riverenze” del Mozart vecchio stile, e il fraseggio risultava convincente in quanto pulito e rettilineo. Ed eccoci alla seconda parte del concerto, in cui Mehta dirigeva, come già molte volte a Firenze su questo podio, e sicuramente nel resto del mondo musicale, la Prima di Mahler, “Il Titano” come è anche nota. Adesso l’ha diretta a ottantanove anni, l’ha diretta a memoria, e con un gesto oramai molto concentrato ed essenziale, e con una visione d’insieme che è quella di sempre, il Mahler di Mehta, ma ancora più concentrata e deprivata di gestualità (ma non certo di intensità), in cui tutti i tratti che caratterizzano il linguaggio di Mahler, le sue fantasie, i richiami campestri delle orchestrine popolari, le danze robuste, gli echi fatali delle fanfare, le rivisitazioni tra affettuose e grottesche della musica popolare (come nel famoso Fra’ Martino, con l’assolo del primo contrabbasso ben realizzato da Riccardo Donati), anche le esplosioni eroiche e tragiche, avevano un’espressione profonda e efficace, ma misurata, e come spiritualizzata rispetto a esecuzioni più all’insegna del colossale che avevamo ascoltato da Mehta in passato. In questa chiave anche Blumine, l’andante soppresso da Mahler, che però negli ultimi anni è rientrato in tante esecuzioni (fra cui anche di Mehta a Firenze), ci è sembrato, per la prima volta, coerentemente inserito nella sinfonia. Come sempre quando torna Mehta viene ripagato dal pubblico, a teatro strapieno come ci si aspettava, con tutto l’affetto che si merita, e cioè con un successo colossale, giustamente esteso anche all’orchestra, in ottima forma e come sempre fedele al suo direttore.
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