Penelope, donna sola 

All’Oper Frankfurt va in scena il poema lirico di Gabriel Fauré in allestimento tutto femminile 

Pénélope 
Pénélope 
Recensione
classica
Francoforte sul Meno, Oper Frankfurt,
01 Dicembre 2019 - 23 Gennaio 2020

Penelope è una donna sola. Lo sposo Ulisse l’ha lasciata per andare alla guerra e lei lo aspetta da ormai troppo tempo. Sola, resiste da anni all’insolente violenza della corte di uomini interessati solo al potere che lei rappresenta. E poi un giorno arriva lui, lo straniero che riesce a flettere l’arco come solo lo sposo Ulisse poteva. Forse è proprio lui, forse è solo l’incarnazione del desiderio covato nella lunga attesa. Liberata la donna da quelle pressanti presenze, lui se ne va. Lei resta sola. Si sviluppa tutta sul filo dell’introspezione femminile la nuova produzione firmata da Corinna Tetzel per la Pénélope di Gabriel Fauré andata in scena all’Oper Frankfurt. Nella schematica scena dalle linee astratte di Rifail Ajdarpasic, che definisce uno spazio chiuso, il palazzo reale, solo con un’alta piattaforma ed essenziali linee luminose, Penelope si colloca quasi sempre sull’avanscena, lo sguardo lontano, sempre fuori dall’arena dei giochi che ruotano attorno a lei. Anche quando lei abita quei luoghi e si confronta con i suoi persecutori, le proiezioni sul fondo scena, che la mostrano sola in quello spazio, suggeriscono una realtà solo immaginata o forse dei lontani ricordi. 

Come la regia, anche la direzione musicale è affidata a un’altra donna, Joana Mallwitz, che, come la regista, sembra interpretare alla lettera l’esortazione di Gabriel Fauré à “disegnare il grande effetto” già dalla breve ouverture strumentale. Piuttosto avara sul chiaroscuro drammatico, Mallwitz insiste piuttosto su un accompagnamento sommesso ma curatissimo nel dettaglio strumentale e soprattutto attentissimo al rilievo della parola scenica, come vuole la sostanza del “poème lyrique” composto da Fauré secondo una formula molto prossima al Debussy del Pelléas. Manca purtroppo una protagonista in grado di tradurre anche sul piano vocale l’introversa tragicità di Penelope, ruolo concepito per l’ammiratissima Lucienne Bréval (di lei Fauré parlò come di “una bellezza che non è frutto dei suoni, ma una certa bellezza che incanta lo spirito.”) non possedendo Paula Murrihy, cantante sempre corretta, la ricchezza di accenti e l’intensità interpretativa della tragédienne capace di incantare. Di Ulysse il tenore Eric Laporte mette in rilievo soprattutto il lato lirico dell’eroe stanco, come Joanna Motułewicz infonde alla nutrice Euryclée un tocco di calda umanità. Ben assortito e vivace il quintetto dei Proci di Peter Marsh (Antinoüs), Sebastian Geyer (Eurymaque), Ralf Simon (Léodès), Dietrich Volle (Ctésippe) e Danylo Matviienko (Pisandre). Fra i ruoli minori, si fa notare soprattutto l’Eumée piuttosto esuberante di Božidar Smiljanić

Parecchi vuoti in sala alla terza recita ma molti applausi a tutti gli interpreti. 

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

La sua Missa “Vestiva i colli” in prima esecuzione moderna al Roma Festival Barocco

classica

Al Teatro Massimo Bellini, con Mahler e Berio 

classica

A Ravenna l’originale binomio Monteverdi-Purcell di Dantone e Pizzi incontra l’eclettico Seicento di Orliński e Il Pomo d’Oro