Onirica Miller alla Scala

Buona edizione di Luisa Miller alla Scala, regia di Martone e direzione di Noseda

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giuseppe Verdi
06 Giugno 2012
Con la messa in scena di Mario Martone e la direzione di Gianandrea Noseda, Luisa Miller è uno dei pochi spettacoli della stagione interamente prodotti dalla Scala. L'esito è stato positivo per merito di un buon cast e di una regia elegante e lineare. Segni forti sul palco il bosco del fondale e il letto, bianco e poi rosso come si conviene ai sogni e agli incubi d'amore. Ed è proprio la condizione onirica che caratterizza tutto lo spettacolo, come a esempio nel secondo atto la curiosa coreagrafia con una poltrona, un calamaio con foglio e penna, semoventi in direzioni diverse o roteanti insieme con Luisa e il perfido Wurm che detta la lettera fatale. Di grande effetto teatrale l'intenso rapporto fra la protagonista e il coro, che racconta il tenero intreccio di affetti e solidarietà nella comunità montana. Le uniche perplessità sono sui costumi contemporanei firmati da Ursula Patzak, che giocando sui grigi (doppiopetto o palandrana) non sottolineano le differenze di classe, dalle quali prende spunto l'intreccio di Schiller. Fa eccezione la risibile stola di volpe sulle spalle della duchessa Federica, interpretata da una prestante Daniela Barcellona. Elena Mosuc, nei panni della protagonista, si è dimostrata a proprio agio anche nei passaggi più difficili, con buona accoglienza del pubblico. Tranne per un estemporaneo "Teatro di provincia", gridato dal loggione ma forse nemmeno rivolto a lei che aveva appena terminato "Chieggion essi della figlia il disonor". Leo Nucci, ancora autorevole di voce e aiutato dalla lunga esperienza nel ruolo, è stato un Miller calibratissimo, anche nelle situazioni di sdegno e di dolore. Ottimo il Walter di Vitalij Kowaljow, buono il Wurm di Kwangchul Youn, mentre Marcelo Alvarez è stato un Rodolfo di classe. Gianandrea Noseda sul podio ha dato gran foga all'esecuzione, anche se l'insistente esibizione di forza ha rischiato spesso di cancellare i momenti più delicati della partitura.

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