Nono e le onde del suono (e della vita)
Il poderoso affresco Como una ola de fuerza y luz riproposto alla Scala 50 anni dopo la prima
Nel centenario della nascita di Luigi Nono, il Teatro alla Scala ne ripropone Como una ola de fuerza y luz, scelta quanto mai calzante per varie ragioni: il brano nacque con e per Maurizio Pollini e Claudio Abbado (del quale ricorrono dieci anni dalla scomparsa) proprio alla Scala, nel 1972, e per le vaste forze sinfoniche che richiede insieme ai solisti – voce femminile e pianoforte – e a una mirata amplificazione del nastro magnetico è lavoro di ascolto alquanto raro. Como una ola… peraltro dispone di un’incisione storica realizzata dai primi interpreti, ma è lavoro che va assolutamente ascoltato dal vivo: sul piano del pensiero strettamente compositivo, centrale è la relazione tra i materiali dispiegati dal vivo dalle magmatiche masse strumentali o dai protesi – ora lirici ora veementi – interventi vocali, e quelli contesti nel nastro magnetico, diffuso mediante altoparlanti obbligatoriamente posti obbligatoriamente dietro/dentro l’orchestra, con traiettorie di emersioni/immersioni, riflessioni, prolungamenti, che prediligono una modellatura plastica ed evitano il mero accostamento. L’antecedente diretto è per Nono il pezzo sinfonico Per Bastiana del 1967, dove il controllo complessivo delle fasce sonore prevale sensibilmente sulla singolarità degli eventi; però lì le textures si dipanavano con una relativa continuità, mentre qui sono sottoposte a periodici scossoni, non solo per le incursioni dei solisti (col pianoforte a operare nel registro medio-grave con aggregati assai articolati e ritmicamente riverberati in orchestra) ma pure per le aggressioni sonore di sezioni strumentali. Si indovina ovviamente, dietro tale condotta, un’istanza espressiva legata al tema ideativo di Como una ola…, la morte tragica del rivoluzionario cileno Luciano Cruz, ma con essa il lascito di energie civili ed umane che la lotta per l’uomo di domani sprigiona. L’ascolto del’inquieto e visionario brano risulta pertanto fascinoso ancora oggi, e qui grazie non solo alla buona prova degli interpreti sul palco (soprattutto Aimard, una poderosa sicurezza al pianoforte, e Metzmacher ottimo concertatore) ma anche alla curatissima regia del suono capitanata da Paolo Zavagna.
Seconda parte dedicata alla Sinfonia n. 4 di Šostakovič, lavoro che il compositore si tenne giudiziosamente nel cassetto alla sua ultimazione nel 1936, viste le bordate di regime contro lo stile modernista e aggressivo della sia Lady Macbeth, per farlo eseguire poi in epoca di disgelo. E non si può fare a meno di pensare, nell’avventuroso e grottesco primo movimento (magistrale nell’incessante reinvenzione quasi-solistica degli episodi sul piano dell’orchestrazione) a una sorta di prima parte di Il maestro e Margherita, che lascia spazio nei due movimenti successivi a un lungo accomiatarsi in anti-climax. Nitidissima qui l’esecuzione guidata da Metzmacher con un gusto particolarmente incisivo e caustico per le combinazioni timbriche.
Applausi convinti e prolungati per tutti in ambedue i brani, da parte di un pubblico consistente, seppur non straboccante.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.