Molto rumore per nulla?
I giovani e la musica d'oggi
Recensione
classica
Si parla molto – in termini che oscillano tra il catastrofismo di tanti e il rinnovato entusiasmo di autori come Alex Ross – di come raggiungere nuovi pubblici per la musica del Novecento e contemporanea.
Due concerti della Biennale Musica 2011 provano a aggiungere qualche tassello e stimolano la riflessione: protagonisti RepertorioZero e Sentieri Selvaggi, due ensemble milanesi che si muovono programmaticamente lungo traiettorie di novità e apertura.
Nella versione quartetto d’archi elettrico, i RepertorioZero (freschi Leoni d’argento!) hanno proposto tre prime assolute accanto a pezzi di Reich – una "Different Trains" nella norma – e Stockhausen, i cui tre estratti da "Orchester Finalisten" hanno un po’ sofferto l’essere stati svincolati dal contesto complessivo originale.
Delle tre prime, spicca per furore elettrico e saturazione del suono "Soul Screams" di Jean-François Laporte, ma ci si chiede anche chi possa essere il destinatario di lavori come questo, che potrebbe suonare poco interessante sia per chi non ama aprirsi a parossismi rumoristici che, d’altro canto, per chi invece (e penso a un pubblico estraneo alle sale da concerto) a questi linguaggi è ben avvezzo per ascolti e frequentazioni in ambiti "noise" e antiaccademici.
Sentieri Selvaggi ha proposto invece, accompagnandolo con brevi e simpatiche presentazioni parlate come è nella sua "mission", un programma in cui spicca lo splendido "Dulle Griet" di Giovanni Verrando, straordinaria esplorazione sonora, rumoristica e dettagliatissima, di suggestioni che da Breugel giungono fino a noi. Non esaltanti il "Double Sextet" di Reich e "Kick" di Steve Martland, decisamente poco interessanti i lavori della cipriota Athinodorou e del sopravvalutato Turnage, mentre "Hot Shot Willie" del direttore Carlo Boccadoro ha trascinato il pubblico grazie alla intensa performance violinistica di Piercarlo Sacco.
Bravi loro, niente da dire, e certamente assai più simpatici, decontratti e condivisivi della maggior parte degli interpreti contemporanei che passano dalle (o vivono nelle) nostre lande, ma c’è davvero un pubblico nuovo che si appassionerà a Turnage? Che dalle suggestioni della Athinodorou abbandonerà le proprie certezze gossip-televisive per esplorare i segreti della composizione contemporanea?
C’è da dubitarne. Ma il punto è anche un altro e cioè che un pubblico, anche giovane, attentissimo e curioso, c’è già eccome. Un pubblico che ha accesso oggi a una quantità di informazioni e di documenti che solo pochi anni fa sarebbe stata impensabile. Un pubblico maturo e consapevole, che ascolta al tempo stesso i Sonic Youth e Morton Feldman, gli Autechre e Uri Caine senza bisogno di giustificazioni né di benedizioni autorevoli.
Un pubblico che qualche volta anche si affaccia nelle sale da concerto, ma non sempre e non sempre con troppa voglia, perché di composizioni che – per molte ragioni – non parlano al nostro tempo, se ne sentono sempre troppe e non sarà certo un riferimento ai Led Zeppelin o allo "sgangherato mondo dell’hard-rock" , come recita freudianamente il programma di sala, a colmare la distanza.
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