Si sa che la "Lucrezia Borgia" di Donizetti (1833) costituisce una delle tappe fondamentali nel processo di definizione del "melodramma romantico moderno". Forse la tappa più importante prima del "Rigoletto" verdiano (1851). Ciò significa innanzitutto un nuovo rapporto di tipo "conflittuale" tra corpo testuale e veste musicale, tra dramma e convenzione. Tale conflittualità interna emerge subito nel violento contrasto tra il misterioso-lugubre preludio narrativo e l'ipermimetica-volgare "banda sul palco", ostentata a mo' di musica di scena. Così attacca non a caso anche il "Rigoletto". Lo stesso conflitto esplode poi in un personaggio "doppio", schizomorfo, come quello di Lucrezia Borgia che è, secondo il dettato victorhughiano, tanto una madre innamorata quanto una spietata avvelenatrice. Un'ambivalenza anche vocale che sarà, tra l'altro, in personaggi come Rigoletto e Azucena. Ora, va detto subito che questa tensione tra il versante convenzionale e quello drammatico non riguarda solo l'ambito musicale ma anche quello scenico-visivo. Prendiamo la scena famosa in cui Gennaro "colla punta del pugnale fa saltar via il B del Borgia". Questo gesto plateale, melodrammatico (fondamentale in Hugo e Donizetti) è diventato oggi imbarazzante. D'altra parte le cinque battute che fanno da "didascalia musicale" al movimento di Gennaro hanno senso solo in quanto "fissano" la breve climax che culmina nel "Borgia/orgia". Orbene, fermo restando che non conviene eluderlo (come spesso si fa), come realizzare questo luogo critico? La messinscena bolognese ha molto osato: in un contesto visivo alquanto astratto e simbolico, Gennaro colpisce (in modo per la verità non troppo disinvolto) una sfera sospesa sulla quale viene proiettato il nome fatidico che dopo l'urto riappare, storpiato, sul fondale. Il regista Marco Martinelli e lo scenografo Edoardo Sanchi non seguono la lettera ma la funzione della didascalia donizettiana. E colgono nel segno. Ma il vero punto di fusione tra il versante spettacolare e quello musicale, il vero pivot della serata, è stata Mariella Devia, emozionante sia come madre-madonna che come "dark lady". Non altrettanto soddisfacente la direzione d'orchestra di Daniele Callegari, talora corretta (l'ultimo quadro) ma più spesso corriva e sempre superficiale. Da lodare anche il resto del cast vocale benché la Provvisionato (Maffio Orsini), scenicamente deliziosa, sia un po' leggerina, Filianoti (Gennaro) un po' monocorde e Surian (Don Alfonso) un po' troppo caricato. In particolare, quando Lucrezia attacca la minacciosa cabaletta "Oh, a te bada, a te stesso pon mente, / Don Alfonso, mio quarto marito", quest'ultimo non può ridere come se niente fosse: il gesto vocale di Lucrezia Borgia è piuttosto da far gelare il sangue e il duca può sorridere sì, ma più di spavento che di superiorità. Alla fine, il pubblico ha elargito applausi a tutti, ma ad essere acclamata con entusiasmo sincero è stata solo la Devia.
Note: nuovo all.
Interpreti: Provvisionato/Bienkowska, Devia/Morosova, Filanoti/carbò, Surjan, Martirossian, Di Cristoforo, Accurso, Zanetti, De Gobbi, Zennaro, Camastra, Bosi
Regia: Marco Martinelli
Scene: Edoardo Sanchi
Costumi: Steve Almerighi
Orchestra: Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore: Daniele Callegari
Coro: Coro del Teatro Comunale di Bologna
Maestro Coro: Piero Monti