Con i suoi 80 anni Lulu si toglie la maschera: basta angelo sterminatore che dissangua senza metafora poveri mariti, basta femme fatale lasciva e libertina, basta isterismi di cupo espressionismo... Lulu era tutto questo. Ora è cambiata. Grazie ad una regia che evita la deriva porno-splatter, facile oggi per opere assai più caste di Lulu, nei primi due atti si riesce a distinguere questo personaggio come un faro nella notte, stabile e rassicurante in mezzo ad un mare nero urlante. “Tu non ti smentisci”, dice disperato Alwa nella scena prima del secondo atto; ci si sta avvicinando al cuore del famigerato palindromo di Berg e questa frase è un lampo: Lulu è l'unica persona che è quello che È(S), l'unica donna a non vergognarsi delle sue pulsioni, l'unico personaggio che non cambia attegiamento a seconda delle circostanze e delle cosuetudini sociali. I costumi di Marie-Jeanne Lecca lo esplicitano: un unico abito lungo sempre uguale, lontano dal genere boudoir, cangiante nei colori, scena dopo scena, quale specchio degli amanti. Ed è proprio questo suo essere immobile, questa mancanza di pudore nei confronti dell'altro da sé, a far uscire di testa chi le sta intorno: chi muore d'infarto, chi si uccide, chi esplode, chi si annienta. Non è lei l'assassina: fanno tutto gli altri, da soli, nei loro isterismi. I rari momenti di disperazione di Lulu, sottolineati nella partitura come sul palcoscenico, coincidono con il rischio di perdere questa sua libertà, di essere liberamente se stessa. E la rivalsa dei mariti uccisi in Jack lo Squartatore? No, anche qui è un'altra storia, finita nella sfortunata coincidenza di incontrare una sera un pazzo sotto casa (la cronoca di oggi insegna). Le scene più intense del pensiero registico di David Pountney esaltano la sensualità musicale dell'Hymn di Alwa e il Terzo Atto, dove l'atmosfera abbandona l'arcobaleno circense per farsi macabra, con le enormi teste carnascialesche che si trasformano in teschi spaventosi nella nebbia di Londra. L'angoscia vibra con la scarna scrittura orchestrale, quasi cameristica, della versione di Eberhard Kloke, composta nel 2010 e presentata a Bolzano in prima italiana. Una première che stringe la mano a quella di Cerha del 1979, un saluto devoto alla sua coraggiosa bacchetta, Pierre Boulez.
Note: Allestimento Welsh National Opera; produzione Fondazione Haydn
Interpreti: Marie Arnet (Lulu), Paul Carey Jones (Dr. Schön, Jack the Ripper), Johnny Van Hal (Alwa), Bernd Hofmann (domatore), Mark Le Brocq (pittore, negro), Jurgita Adamonyte (guardarobiera, studente, Groom), Duccio Dal Monte (direttore di teatro, banchiere), Alan Oke (principe, domestico, marchese), Natascha Petrinsky (contessa), Steven Scheschareg (atleta), Roland Selva (primario), Keith Harris (giornalista), Johannes Held (domestico), Rebecca Afonwy-Jones (arredatrice), Annalucia Nardi (madre), Mary Jean O’Doherty (quindicenne), Carlo Emanuele Esposito (Commissario di polizia), David Thaler (clown), Andrea Deanesi (macchinista)
Regia: David Pountney
Scene: Johan Engels
Costumi: Marie-Jeanne Lecca
Orchestra: Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Direttore: Anthony Negus
Luci: Mark Jonathan