Al teatro dell'opera di Francoforte la proposta di una "Donna senz'ombra" senza orpelli orientaleggianti che permette al pubblico di concentrarsi sul valore della "poiesi" della musica di Richard Strauss.
Recensione
classica
Opernhaus - Oper Frankfurt Fankfurt am Main (Francoforte sul Meno)
Richard Strauss
02 Febbraio 2003
Hoffmanstahl era del tutto convinto che questo materiale avesse tutte le carte in regola per diventare "la più bella di tutte le opere" lasciandosi trasportare in sublimi dichiarazioni non tipiche del suo carattere. Nella "Frau ohne Schatten" assistiamo alla completa fusione del ruolo del poeta e del librettista. Si era comunque affidato ottimisticamente al potenziale simbolico della musica, sopravvalutando la sua capacità di trasportare simboli. Strauss è del parere che questa sia " l'ultima opera romantica", con tutta la responsabilità storica che ne deriva. Questa favola frutto di fusione da diversi ambiti culturali ci presenta una donna lacerata tra il rigido mondo degli spiriti che l'ha generata e l'imperfetto mondo degli esseri umani. L'incapacità di "gettare un' ombra", cioè di procreare, la costringe a lasciare il suo status di creatura incorrotta e di scendere tra i mortali nella famiglia del tintore Barak. La nutrice servirà da mediatrice per lo scambio con la moglie del tintore che porterà fecondità. Non cediamo a tentazioni sociologiche o psicanalitiche per sondare le profonità di quest'opera. Ci accontentiamo della constatazione che questa volta la redenzione è nelle mani di una donna. Ma fin dall'inizio le note funeree ci indicano che si tratta di una situazione sacrificale, che senza rinuncia non si ottiene nulla. Il regista Christof Nel e lo scenografo Jens Kilian, che già ci hanno regalato allestimenti preziosi di Butterfly e Salomé, hanno avuto il buon gusto di non sovraccaricare il loro lavoro di ulteriori piani simbolici, consci che lo spettatore già se la deve cavare con Hoffmanstahl e Strauss. Un velo di tristezza sembra essere sospeso per tutto il tempo della rappresentazione sopra l'agire dei protagonisti, inafferrabile, ma presente. Padroneggia la scena un grande cubo polifunzionale dai toni grigi del cemento scrostato. Scarsi gli elementi scenici, spesso sproporzionati, che ci trasportano nel mondo di Alice e delle sue inquietanti meraviglie. L'imperatrice (trascinante voce drammatica di Silvana Dussmann) veste per metà sportiva e per metà di un' eleganza fuori del tempo. L'accompagna una nutrice (convincente nel suo ruolo subdolo Julia Juon) dal freddo comportamento da governante inglese, fino all'ultimo convinta dell' intaccabilità dei suoi principi. Il Kaiser "cacciatore e amante, e niente più" come lo definisce lei stessa, in realtà non fa molto per cambiare la sua condizione. Barak il tintore porta con rassegnazione la croce di un amore apparentemente non ricambiato della moglie. Reminiscenze della fase di nascita dell'opera, pensata come melodramma popolare, i tre fratelli di Barak, che per rispetto al valore simbolico vanno riportati come "quello con un braccio", "quello con un occhio" e il "gobbo". Come figure prese in prestito dalla commedia dell'arte, ma dopo un bagno nel pessimismo teutonico, diffondono sarcasmo al solo apparire. Una creazione delicatissima è la figura del falco cui Britta Stallmeister presta una voce suadente. Nei momenti critici sottolineati da una musica vertiginosa il cubo viene fatto girare velocemente, come quando la nutrice regala alla moglie del tintore un diadema, simbolo di potere, che scatena in lei una tempesta di sentimenti contrastanti. Ma si tratta davvero di una favola se la nutrice con le sue capacità da imbonitrice spiega alla moglie del tintore che il segreto sta sempre nel rapporto tra merce in vendita e prezzo?. Lo stordimento dell'imperatore di fronte alla casa del falco nel secondo atto è reso magnificamente dalle note struggenti del violoncello: una delle scene più unitarie e riuscite di questa regia non sempre fluida. Come le figure degli scacchi, senza nome proprio, il destino ( o Kelkobad, il re degli spiriti?) muove questi personaggi. Senza pietà si sacrifica chi ha creduto fino all'ultimo di fare il suo dovere. E quando la nutrice viene scacciata ci viene rivelata attraverso la musica - la natura erotica del suo rapporto di dipendenza con Kelkobad. Non ci si può sottrarre alla potenza evocativa ed erotica della musica di Strauss. Il direttore Sebastian Weigle non risparmia agli spettatori le stazioni di dolore cui sono sottoposti i personaggi de "La donna senz'ombra". Impegnato per un anno alla partitura, ha reso sublimamente la molteplicità timbrica con cui Strass ha definito sia il mondo umano che quello degli spiriti. Quattro ore di "sofferenza" e di sentimenti fortemente contrastanti hanno reso questa serata indimenticabile grazie anche alla presenza di un cast canoro internazionale, quasi tutti passati da Vienna, Milano e Berlino. Sarebbe imperdonabile dimenticarsi di citare il coro dell'opera di Francoforte con il suo ruolo determinante nel completare il successo dell'allestimento, soprattutto in quei momenti dove i tutti coinvolgono magneticamente il pubblico. Ci permettiamo di affermare che il finale è del tutto antiwagneriano. Le coppie riunite dopo il percorso iniziatico caratterizzato dal dolore si ritrovano per affermare la vita e non in unione mistica nella morte.
Interpreti: L'imperatore (T): Stephen O'Mara; L' imperatrice (S): Silvana Dussmann; La nutrice (Ms): Julia Juon; Barak il tintore (Bar): Terje Stensvold; La sua donna (S): Elisabeth Connell; Messaggero degli spiriti (Bar): Gerd Grochowski; L' orbo (B): Franz Mayer; Il monco (B): Soon Wong Kang; Il gobbo (T): Hans-Jürgen Lazar
Regia: Christof Nel
Scene: Jens Kilian
Costumi: Ilse Welter
Direttore: Sebastian Weigle
Maestro Coro: Andrés Máspero
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento