A Liegi le nozze di Figaro non convincono

Mario Cassi nella parte del Conte Almaviva, all’Opera di Liegi fino al 14 aprile

© Opéra Royal de Wallonie-Liège
© Opéra Royal de Wallonie-Liège
Recensione
classica
Opéra Royal de Wallonie-Liége
Le nozze di Figaro
06 Aprile 2018 - 14 Aprile 2018

Piacevole  da seguire, anche se un po’ lenta e con poche invenzioni, la nuova produzione dell’Opéra Royal de Wallonie-Liége de Le nozze di Figaro di Mozart è firmata in modo piuttosto tradizionale da Emilio Sagi, insieme ad alcuni suoi usuali collaboratori per quanto riguarda scene e costumi, e si caratterizzata per un buon cast vocale, mix di giovani talenti e di artisti sperimentati, non tutti però adatti alla perfezione ai rispettivi ruoli.

Tra gli artisti d’esperienza svetta Mario Cassi che si cimenta nel ruolo del Conte Almaviva senza ancora però riuscire a essere completamente convincente come nobile senza scrupoli nel cercare di conquistare Susanna, salvo pentimento finale, per la cui interpretazione sono necessari un pizzico di cinismo e cattiveria in più. Molto ben riuscito invece il Figaro del baritono croato Leon Kosavic, di appena ventisette anni: bel timbro, voce piena e sicura, chiara dizione italiana, val la pena di assistere allo spettacolo anche solo per scoprirlo. Un altro giovane talento assai apprezzabile del cast è la belga Jodie Devos a cui è stata affidata la parte di Susanna e che ha naturalmente la spontanea vivacità per personaggio, ma la cui bella voce di soprano risulta un po’ sacrificata nel ruolo della cameriera, un po’ più basso per le sue corde.

Tra gli altri soprano in scena, l’olandese Judith Van Wanroij è un’elegante Contessa Almaviva, solo un po’ troppo fredda per essere un’aristocratica ma pur sempre spagnola; mentre Raffaella Milanesi en travesti è dolce ma incostante, anche nella performance, Cherubino innamorato dell’amore. Poco credibile il giovane Julien Veronese come Dottor Bartolo, così come la pur brava Alexise Yerna come Marcellina, penalizzata da un costume che la fa sembrare una vecchia vedova in lutto piuttosto che la governante del castello.

Anche le scene non convincono: nel primo atto perché troppo vuote in primo piano, ma con un’attraente corte assai animata che purtroppo si intravede solo dietro le colonne; molto suggestive invece le luci del mattino nella stanza della contessa, ma con un letto a baldacchino ridicolmente piccolo; bella a vedersi la scena finale, anche se non sono i cantati “pini del  boschetto”, ma  un giardino tropicale. A fronte di movimenti registici elementari, il balletto è una nota di vivacità assai godibile. Sul podio, e al pianoforte per i recitativi, il maestro Christophe Rousset dà della partitura una lettura corretta, ma senza quelle scosse che non dovrebbero mancare in quella che il sottotitolo stesso dell’opera descrive come “la folle giornata”.

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