Le Grand Macabre, un’apocalisse tragicomica

Ottimo allestimento – il primo a Praga – dell’unicum teatrale di Ligeti

Le Grand Macabre (Foto Serghei Gherciu)
Le Grand Macabre (Foto Serghei Gherciu)
Recensione
classica
Praga, Opera di Stato
Le Grand Macabre
14 Giugno 2024 - 27 Giugno 2024

Nella programmazione dell’Opera di Stato di Praga, si è aperta una finestra festivaliera – Opera Nova – dedicata alla musica contemporanea, con un naturale accento su proposte di teatro musicale o di mixed-medialità e una prevedibile attenzione verso autori nati e cresciuti nel territorio (ma spesso stabilmente attivi all’estero). Nel cartellone di quest’anno, si è fatta notare una nuova produzione – prima cèca del titolo – di Le Grand Macabre di Ligeti: un banco di prova, poiché il lavoro da un lato reimpiega e ripensa molte strategie compositive del Ligeti dei vent’anni precedenti (processualità di germinazioni o riduzioni, dialettica fra continuità e discontinuità, vocalità e gestualità dell’assurdo), dall’altro le protende verso una dimensione postmoderna, sia attraverso una costellazione assai complessa di allusioni/citazioni, sia nel superamento dell’idea informale di tempo musicale.

Il brillantissimo esito di questo allestimento può far considerare pienamente superato il test, a partire dall’ottima qualità squisitamente musicale dell’esecuzione: le performance vocali richieste agli interpreti sulla scena sono infatti di notevole impegno, spinte come sono agli estremi delle rispettive tipologie (sbilanciamento al grave o all’acuto, enfatizzazione delle colorature, uso del falsetto), e per di più diffuse lungo tutta la durata del lavoro, con una distribuzione ulteriormente concentrata in certe fasi (ciò vale soprattutto per Nekrotzar, qui il bravissimo Marcus Jupither). Il cast, formato sia da nomi internazionali, sia da leve locali, ha mostrato in tutti i ruoli straordinarie tenuta, duttilità, evidenza nel caratterizzare l’emissione, e anche capacità di entrare attorialmente nella complessa regia; se qualche fatica è affiorata in alcuni punti ‘estremi’, la si può rubricare come una sottolineatura del grottesco, che non ha assolutamente stonato col tutto. Gli ensemble strumentali e corali, guidati con penetrazione e sicurezza da Jiří Rožeň (anche curatore artistico del festival), non hanno mai avuto un cedimento o una sbavatura, plasmando con grande precisione le diverse fasi della partitura, da quelle ancora legate all’informale statico o nubiforme, alle gigantesche proliferazioni o agli episodi più citativi: considerato che i loro componenti sono tutti membri dei complessi stabili – Orchestra e Coro – dell’Opera di Stato, si tratta di un’ulteriore attestazione di maturità e prontezza nell’affrontare repertori recenti.

Ricca di spunti pure la regia, firmata da Nigel Lowery: per buona parte del primo atto, lo spazio resta limitato, all’avanscena, rotto solo verso la sala dai concitati interventi della folla allarmata, sul fondo dalla porticina di una toilette pubblica – ovvero la tomba di Nekrotzar – nella quale si rifugiano i due amanti, e al centro a proiezioni di un precipitare televisivo degli eventi, cui le marionettistiche figure del potere non sono in gradi di far fronte: quando, a fine atto, appare incombente e roteante una fabbrica-forno crematorio, l’immagine è veramente raggelante, sebbene condita di dettagli molti comici (i boia-macellai da film-fumetto, Nekrotzar-Napoleone – peraltro l’Introduzione al II atto è costruita su un’anamorfosi e accumulo del tema prometeico della Sinfonia Eroica beethoveniana… – ubriacato da Piet e Astradamors e incapace di recuperare falce e cavallo, il Principe Go-Go salvato al nascondersi sotto un tavolo). L’Apocalisse a Breughelland, in effetti, si muove  tra burla e incubo ricorrente, coerentemente con una frase chiave della fonte letteraria del soggetto (“Sono terrorizzato, e rido”) da Michel de Ghelderode. Alla fine – in un vano centrale, ritagliato nell’avanscena, allusivo a una casa di riposo – i personaggi ritornano tutti, ma spostati in un tempo indefinitamente avanzato, sul liminare della propria vita, non senza che gli amanti (riemersi anch’essi assai anziani) cantino le gioie dell’amore trascorso. Entro tale ossatura, abbondano trovate esilaranti o soluzioni pungenti, come il giocare sui costumi doppi/sdoppiati anche sulla scorta della scrittura vocale (gli amanti androgini, meta uomo metà donna; i ministri trans-gender) o il far scorrazzare un asteroide-pupazzo dalla forma di un megabacillo virale.

La sala, con qualche vuoto in platea ma abbastanza piena in palchi e gallerie, ha seguito con attenzione e sonoro divertimento, regalando al termine lunghissimi e calorosi applausi a tutti gli interpreti.

 

 

 

 

 

 

 

 

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