Il "Tancredi" di questa sera si è presentato inizialmente come uno spettacolo godibile: orchestra ordinata, voci belle e capaci, regia composta, scenografia senza commenti, un po' da presepe. Ma poi, a lungo andare, il piacere iniziale è andato scemando, lasciando evidenti i difetti, anche grossi, della partitura, innanzi tutto, e quindi della messinscena che doveva sorreggerla. Tutti i problemi di questa opera rossiniana derivano fondamentalmente dal suo essere ancora agganciata ad una costruzione di tipo settecentesco con, però, segnali importanti di novità. Settecentesco è l'argomento pieno di equivoci, complicato; settecentesco è il modo di musicarlo: numeri chiusi, recitativo secco, il contralto per il ruolo maschile principale, la musica pensata esclusivamente per le voci; salvo poi riscontrare nell'ampiezza e articolazione dei singoli numeri al loro interno caratteristiche che, evidentemente, settecentesche non sono, ma vanno oltre. E proprio in questa vistosissima oscillazione tra '700 e primo '800 consiste il grave limite dell'opera in questione che infatti si presenta disomogenea, e, quadri anche molto suggestivi, fatti di melodie eleganti, non hanno rilevanza scenica, perché sono inseriti in un contesto che non ha niente a che vedere con il teatro: la scansione in sezioni così ben isolate dall'assenza dell'orchestra (e dagli applausi: che brutta abitudine circense!) non fa acquisire il senso dell'unità drammaturgica (e poi la trama è troppo articolata per essere tutta tenuta a mente), i personaggi non sono indagati nella loro psicologia, ci si ferma alla superficie, alla descrizione dell'affetto. Insomma, i limiti dell'organizzazione secondo la successione aria-recitativo sono tutti lì, accentuati da una regia e scenografia prive di iniziativa, sostanzialmente assenti, e, per questo, incapaci di influire sulla visione. Come accadeva due secoli fa da una scrittura sì fatta hanno tratto vantaggio, questa sera, le voci trovando la dimensione ideale per mettersi in mostra. Vista l'organizzazione del libretto, non potevano non risaltare i due ruoli di spicco: Patricia Bardon (Tancredi) che ha fatto sfoggio di una voce possente ma anche duttile, Patrizia Cigna (Amenaide) che ha mostrato grande agilità e bellezza di timbro; bravo anche Bruce Ford (Argirio). Dopo tre ore e mezza di spettacolo viene da chiedersi, perché non fare un semplice recital per valorizzare voci così belle?
Interpreti: Ford, Bardon, Turco, Cigna, Montiel, Simoni
Regia: Stefano Vizioli
Scene: Alessandro Ciammarughi
Costumi: Alessandro Ciammarughi
Orchestra: Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore: Jonathan Webb
Coro: Coro del Teatro La Fenice
Maestro Coro: Giovanni Andreoli