La scacchiera di Macbeth
Verdi all' Opéra de Liège con Leo Nucci
Per questo nuovo allestimento del Macbeth di Verdi, l’Opéra de Liège ha deciso di mettere in scena la seconda versione, quella rivista per Parigi e poi tradotta in italiano ma, con l’accordo di Leo Nucci, con il finale della prima versione originale fiorentina perché ritenuto più drammaticamente potente. E sulla potenza, in effetti, è giocata tutta la concezione del nuovo spettacolo: è l’incisività della finezza dell’interpretazione di Nucci e la potenza della voce di Tatiana Serjan come Lady Macbeth che dominano la scena; e tutta la regia, firmata dallo stesso direttore dell’Opéra di Liegi, Stefano Mazzonis di Pralafera, sembre pure avere come obiettivo la sottolineatura delle conseguenze della cieca passione per il potere. A ricordarlo, in un decor complessivamente sobrio, a parte i troppo fantasiosi costumi di Ferdand Ruiz, compare in diversi momenti una scacchiera in cui tutti sono pedine, ed uno specchio che sembra anche volere riprodurre le ambivalenze e diverse sfaccettature a cui nessuno sfugge, e così a Macbeth della morte della moglie, per cui ha commesso crimini su crimini, alla fine non importa più nulla, e la stessa Lady Macbeth che pure sembrava una spietatissima cattiva pure soccombe ai rimorsi. Leo Nucci conferma la sua fama: se la voce non è più esattamente quella di un tempo purtuttavia regala ancora momenti di esemplare bravura ed emozione, da far venire i brividi, per cui è sempre un dovere assistere ad un sua performace. Tatiana Serjan interpreta con verosimiglianza e sicurezza Lady Macbeth, solo avremmo preferito che spingesse meno, troppa forza nell’emissione, qualche difficoltà in alcuni passaggi d’agilità, dizione italiana un po’ troppo non comprensibile, peccato perché è senza dubbio un’interessantissima soprano drammatico d’agilità adatta al ruolo, che sa imporsi anche visivamente con carisma sul palcoscenico, ma deve lavorare ancora sulla finezza. Per queste ragioni non convince in “La luce langue..” , mentre è più godibile, misurando di più i toni, nella scena del sonnambulismo. Bella voce anche quella del tenore italiano Gabriele Mangione che si è fatto apprezzare nella parte di Macduff; e lo stesso può dirsi del basso Giacomo Prestia, un Banco irreprensibile. Deludono invece le streghe e i balletti, perché noiosi, interpretati però da bravi danzatori italiani. Rimarchevole invece pure l’interpretazione del coro, in particolare dell’attesa “Patria oppressa!”, ben coordinato da Pierre Iodice. L’ultimo atto è il più riuscito, anche visivamente parlando, con blocchi di cielo carichi di nubi che predicono tempesta e la battaglia con solo le lance illuminate come fossero laser. A legare il tutto la direzione puntuale, mai sopra le righe per troppa enfasi, del maestro Paolo Arrivabeni che ottiene un’ottima prova dall’Orchestra.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
La sua Missa “Vestiva i colli” in prima esecuzione moderna al Roma Festival Barocco
Per la prima volta quest’opera di Händel è stata eseguita a Roma, in forma di concerto