La Guerra del Fus

I musicisti devon far sentire la loro voce

Recensione
classica
Ho assistito, giorni fa, ad un divertente momento di televisione (era SkyTg24, per la cronaca). C’erano Dario Fo e una compìta conduttrice che cercava di contenerne le invettive nei confronti di Tremonti. «La Cultura non si mangia», pronunciata dal ministro per giustificare i tagli imposti al Fus, è una frase che resterà, e a ragione, nelle cronache della nostra Italia, ridotta a miserrima caricatura di se stessa. L’invito di Fo, poi ritirato ma comunque estremo, a «schiaffeggiare il ministro, e con cura» è una reazione che, sia pur solo nelle intenzioni, è stata condivisa da molti. Il problema, a questo punto, sembra pressoché irrisolvibile: da troppi anni la cultura viene maltrattata, derisa nei fatti, censurata e screditata, al punto che oggi eleggerla a bersaglio preferito delle strategie di risparmio sulla spesa pubblica è piuttosto facile e si può procedere alla sua distruzione nella generale indifferenza. Del Fus parlano, con toni che condivido in pieno, anche altri interventi su questo giornale on line, ma non saranno mai troppi, per cui volentieri vi aggiungo il mio. Vorrei solo precisare che il problema ha origini lontane. Ricordo ancora la esternazione di una ministra della cultura, rigorosamente di sinistra, che si premurava di dichiarare l’equivalenza di Beethoven e Jovanotti, in quanto entrambi espressioni della cultura. Concetto che, pronunciato da Berio o Frank Zappa, avrebbe avuto forse un senso diverso e provocatorio, partendo necessariamente da ben altre consapevolezze estetiche e – appunto – culturali. Ma che, sulla bocca della Melandri, aveva già il torvo sapore di un funesto presagio. La musica colta non può reggere senza il finanziamento pubblico, nè il suo destino può dipendere dal gradimento del pubblico, specie quando questo sia stato – per anni – educato al peggio, e la musica classica sia nel frattempo sparita dai palinsesti delle televisioni e dei giornali. La storiella che non ci sono soldi non ce la raccontano. I soldi sono pochissimi, è vero, ma il modo in cui vengono distribuiti e ripartiti non è nè l’unico nè il migliore possibile. Sono convinto – e sono in ottima compagnia – che si potrebbe triplicare il Fus senza portare il paese alla bancarotta. Soprattutto perchè, a meno di non governarlo con la lungimiranza di un miope amministratore di condominio, è evidente a chiunque che la cultura sia una delle risorse e dei marchi di fabbrica italiani. Una delle poche cose che ancora salvano l’immagine internazionale della nostra penisola, altrimenti ridotta ad essere la patria della mafia, del malaffare, della pizza e degli scandali sessuali. Se non ci riprenderemo il nostro spazio, con le unghie e con i denti, e non lo faremo con decisione e in fretta (magari per una volta cercando di essere uniti), temo che – alla prossima finanziaria – alla voce Musica seguirà il soave appello del ministro Bondi: “Assente”. Magari detto in forma di Haiku. Dunque, per poco che la cosa possa servire, propongo senza esitazione una lettera aperta scritta dai musicisti e dalle voci più forti e autorevoli di questa nazione. È tempo che ciascuno esca dal proprio Hortus Conclusus, è tempo di spendersi con generosità. Siamo in guerra.

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