Il ritorno di Barenboim alla Scala
Milano: con la Filarmonica per Schubert
Felice ritorno quello di Daniel Barenboim sul podio della Filarmonica della Scala per la stagione sinfonica del teatro (dopo le ultime tre sinfonie di Mozart a febbraio); in primo luogo perché ha diretto in piedi senza aver bisogno dello sgabello, segno che si sta riprendendo dalla malattia, in secondo perché le due sinfonie di Schubert, L'Incompiuta e La Grande, hanno trovato in lui un interprete eccelso. Specie la prima, vero distillato della poetica schubertiana, analizzata dal direttore in ogni dettaglio, nel vagare discontinuo delle melodie che finiscono per affacciarsi su baratri inquietanti. Senza togliere merito a nessuna delle sezioni dell'orchestra i violoncelli, fin dalle prime battute, hanno avuto una inedita capacità evocativa di sogni, di tormenti, fin'anco di morte. A loro ha di certo giovato anche la camera acustica da poco inaugurata al Piermarini, che ha molto migliorato l'ascolto in sala.
Per la sinfonia n. 9, Barenboim ha scelto un passo lento, che gli ha consentito di sfoggiare un accuratissimo equilibrio di timbri, ma che talvolta ha finito per penalizzare alcuni momenti. Specie nel primo tempo, spesso rimasto imbrigliato in una scansione meccanica a discapito in parte della sua festosa e fantasiosa tavolozza. Lacci che si sono del tutto dissolti nell'Andante con moto, mutevole e cupo al contempo, così che l'ascoltatore si è ritrovato a stare al gioco di Barenboim, non potendo che rimanere ammirato dalla sua lucidità, comunicata all'organico con una gestualità ridotta al minimo. Quando in alcuni passaggi addirittura assente.
Meritatissimi gli applausi interminabili che hanno accolto il direttore al suo apparire sul palco e ancora di più la lunga standing ovation alla fine, mentre Barenboim continuava a ringraziare gli orchestrali. A riprova di quale traccia felice abbia lasciato quand'era al Piermarini come maestro scaligero.
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