Il franco cacciatore ad occhi chiusi
La messinscena proposta questa sera, ha completamente ignorato la sostanza della "romantiche oper" di von Weber/Kind. La musica nel frattempo fluiva proponendo la sua "scenografia sonora" (indubbiamente dissonante con quella realizzata sul palco, da ascoltare ad occhi chiusi) efficacissima grazie anche agli interpreti.
Recensione
classica
Nell'allestimento de "Il Franco Cacciatore" non si può trascurare la presenza di un personaggio fondamentale, sebbene non sceneggiato, onnipresente spettatore delle vicende umane e divine: la foresta e con essa tutti "gli arredi" di un paesaggio ampio e selvaggio. Pur volendo evitare l'oleografia, è comunque indispensabile in quest'opera offrire all'immaginario almeno qualche appiglio cosicché possa ambientarsi nell'atmosfera romantica che trasuda dalle note. Tuttavia, la messinscena proposta al Malibran di Venezia, ha completamente ignorato la sostanza della "romantiche oper" di von Weber/Kind, rinchiudendo la vicenda in un edificio bianco neutro, inizialmente sala da ballo, che, ruotando su sé stesso, forniva di volta in volta un diverso sfondo all'azione. I costumi contemporanei, le luci esclusivamente bianche, l'ingresso di comparse dal ruolo oscuro, la simbologia quasi caotica, hanno determinato un ingorgo di informazioni, che ha disorientato la visione, distogliendo l'attenzione dall'opera in sé, per impegnare l'intelletto in un improbo tentativo di interpretazione.
La musica nel frattempo fluiva proponendo la sua "scenografia sonora" (indubbiamente dissonante con quella realizzata sul palco, da ascoltare ad occhi chiusi) efficacissima grazie anche agli interpreti: Peter Seiffert (Max) in primo luogo, tenore agile e potente, bravissimo attore, così come Hartmut Welker (Kaspar), anche se, la sua, è apparsa un'agilità un po' più ruvida. Teatralmente convincente anche Gabriella Costa (Annchen) soprano solido; un po' opaca Petra Maria Schnitzer (Agathe). La direzione di Friedrich Haider è apparsa forse non troppo attenta al dettaglio, abbandonandosi ad una espressività facile, con sonorità a volte massicce, specie negli accompagnamenti. Comunque buon successo di pubblico.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.
classica
A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista