Il #Folon di Campogrande a Liegi
Successo per la nuova opera per ragazzi di Nicola Campogrande all'Opéra Royale de Wallonie
In un’opera pensata per i giovani e con il pubblico in modalità partecipativa, le prove sono importanti quanto lo spettacolo in quanto parte integrante del processo di fruizione complessiva dell’opera. Anzi come spesso succede, ed è accaduto in #Folon, la nuova creazione del compositore Nicola Campogrande commissionata dall’Opera di Liegi, è proprio alle prove che i ragazzi sono veramente i protagonisti delle parti a loro dedicate.
La prova di un’oretta programmata immeditamente prima dell’ora di spettacolo e aperta al pubblico si è rivelata così un preludio intenso alla rappresentazione vera e proprio, il momento dove si è innanzitutto potuto apprezzare il lavoro di scrittura di Campogrande che ha saputo combinare, con apparente semplicità, melodie diverse, sempre fresche e ben ritmate, orecchiabili e quindi facili da ricordare, ma capaci di esprimere con ricchezza di motivi i diversi stati d’animo che si manifestano in adolescenti che si affacciano alla vita, provano i primi palpiti d’amore, e anche di gelosia.
Di Campogrande anche l’idea di illustrare la storia, libretto di Piero Bodrato, con le immagini poetiche di Jean-Michel Folon – la classe di adolescenti va a visitare infatti proprio un’esposizione dedicata all’artista – ma sono ispirate dalle sfumature di colori e forme ricorrenti di Folon anche tutte le scene e i costumi di Fernand Ruiz. Forse c’è fin troppo Folon, perchè se i ragazzi sono rappresentati in modo molto attuale a livello di comportamenti – dipendenti come sono dai loro smartphone e dai social media, più intenti a farsi dei selfie che a guardare le opere del museo – i delicati costumi, pur belli, oppure i capelli con le trecce da giardino d’infanzia, non facilitano l’immedesimazione degli adolescenti d’oggi, ma sembrano adatti ad uno spettacolo per dei bambini più piccoli.
I cori invece, i cui testi sono stati tradotti in francese da Maria Delogu, sono ricchi di citazioni e spunti di riflessione per un pubblico di ragazzi più maturo: se Cartesio diceva “penso dunque sono” i ragazzi cantano invece “selfie donc je suis”, così come è ripresa l’"Habanera" della Carmen nella canzone che Campogrande ha intitolato “Prends garde à toi”, solo per fare due esempi tra i momenti più riusciti di una partitura ricca, che utilizza un’ampia gamma di strumenti dai più classici ai più moderni (ben in evidenza la batteria), per esprimere il complesso mondo interiore, a tratti oscuro e quasi rabbioso, a tratti splendidamente innocente, dei nostri “millennials”.
Tutti apprezzabili gli interpreti, per brevità citiamo solo Natacha Kowalski nella parte della giovane protagonista Orangine, Pierre Derhet in quella del suo fidanzatino Jean Petit Bleu e Julie Bailly nei panni di Mariette, l’amica del cuore di Orangine che si sente tradita nell’amicizia al formarsi della giovane coppia.
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