Il Flauto di Stein
Successo per l'opera realizzata dall'Accademia della Scala
Recensione
classica
L'Accademia della Scala ha messo a segno un bellissimo Die Zauberflöte. Merito di Peter Stein che ne ha curato la regia con prove di recitazione durate un anno e di Ádám Fischer che ha diretto con assoluta precisione l'orchestra della stessa Accademia. Stein aveva anunciato che avrebbe rispettato alla lettera l'idea originale di Schikaneder e così ha fatto. Cielo stellato alle spalle della Regina della Notte, carro d'oro trainato da quattro leoni per Sarastro, piccole piramidi portatili per ogni sacerdote, eccetera. E siccome siamo a teatro, anche rumori di catene e ferraglia quando in scena si compone la cripta del tempio, più naturalmente lampi, tuoni e vento quanto basta. Ma quel che più conta è la gestualità dei cantanti, che agiscono in palcoscenico con assoluta naturalezza e maestria. Il più impegnato è Papageno (Till von Orlowsy), che sgambetta, rotola, salta tutto il tempo; non da meno Monostatos (Sascha Emanuel Kramer). Mentre prima donna assoluta è risultata Fatma Said, che per voce e aspetto ha impersonato una deliziosa Pamina e fa immaginare una fortunata carriera; accanto a lei Martin Piskorski che ha padroneggiato con sicurezza vocale l'eroico e ingenuo Tamino. Martin Summer è stato un Sarastro di maestroso aspetto, Yasmin Özkan come Regina della Notte ha superato la prova, pur non disponendo di sufficiente emissione. Le scene firmate da Ferdnand Wogerbauer hanno rispettato le richieste di Stein, con anche bellissimi effetti durante la prova del fuoco e dell'acqua della giovane coppia d'innamorati. In conclusione, uno spettacolo festoso e molto elegante, che a fine serata ha regalato a tutto il cast applausi calorosi e suggerito allo spettatore una considerazione che rasenta l'utopia. Perché sarebbe bello che gli allestimenti di spettacoli lirici potessero sempre disporre di un lungo periodo di prove in palcoscenico.
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