I Vespri tra i cannoni
Scala: delude la regia di De Ana, applausi per Luisi sul podio
La presenza dei Vespri Siciliani nel cartellone scaligero è rara, nel secolo scorso solo quattro volte, l'ultima diretta da Riccardo Muti e la regia di Pier Luigi Pizzi risale al 1989 e venne parecchio contestata. A condurla in porto tocca ora a Fabio Luisi sul podio, per la regia di Hugo De Ana, che firma anche scene e costumi.
Durante la Sinfonia (forse il momento migliore della partitura, insieme al balletto delle Quattro Stagioni, purtroppo non previsto nella versione italiana) in proscenio è appoggiata una misteriosa scacchiera, se ne comprende la ragione sulle ultime battute della Sinfonia quando compaiono la Morte e il cavaliere medioevale del Settimo sigillo di Ingmar Bergman. È una presenza di forte impatto, che farebbe sperare in una messa in scena astratta e lineare per illustare l'ineluttabile esito di qualsiasi guerra, patriottica o non. Per quanto nel corso dello spettacolo la coppia emblematica compaia spesso come memento mori, via via lascia spazio a un realismo ingombrante anni Quaranta, che a detta del regista si ispirerebbe alla Ciociara di De Sica (da Moravia), con le tante donne violentate dalle truppe marocchine col beneplacito degli alleati. Un cannone puntato al cielo che spara con un gran botto e nuvoletta di fumo, un carro armato sulla cima di una collina con un tableau vivant di soldati costretti per quasi un intero atto all'immobilità, altri spari di fucili e di una pistola maneggiata dalla duchessa, ordigni bellici non identificabili durante l'incontro di Arrigo ed Elena con Procida. L'ingombro è progressivo e continuo, aggravato anche da sfilze di soldati che portano bare, urne con terra siciliana, sacchi neri e da balletti insulsi che obbligano anche la Morte a dimenarsi, talvolta pure il coro gesticola a ritmo. Né manca il folklore locale, c’è pure una Madonna, bardata secondo l’uso delle processioni, che però brandisce una pistola. Insomma l'azzeccata idea iniziale viene persa per strada.
Fra gli interpreti il migliore risulta Piero Pretti (Arrigo), tenore dal timbro gradevolissimo e fermo; meno felice Marina Rebeka nei primi due atti, che però si riscatta ampiamente dal terzo in poi; corretti Monforte di Luca Micheletti e Procida di Simon Lim. Ottimo come sempre il coro scaligero, diretto da Alberto Malazzi. La direzione di Fabio Luisi è risultata impeccabile, in grado di affrontare i continui mutamenti d'atmosfera assecondandoli con diversi colori orchestrali, sempre ben delineati. Dalle melodie più struggenti alle improvvise deflagrazioni, a esempio il coro finale "Vendetta", che è risuonato come una danza macabra, in perfetto accordo con la bergmaniana figura della Morte.
A fine serata applausi ecumenici per tutti, specie per Fabio Luisi, seguiti da qualche buu all'indirizzo di Marina Rebeka e Simon Lim e da buu insistiti per Hugo De Ana. Con fans e detrattori, oltre che in loggione, disseminati anche il platea, sistemazione abbastanza inedita per la Scala.
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