I tentacoli di Rusalka
Dvorak con la regia di Emma Dante
Per il debutto milanese di Rusalka, a 122 anni dalla prima a Praga, la Scala ne ha affidato la messinscena ad Emma Dante, esperta e appassionata ri-visitatrice di favole e racconti popolari (straordinario il suo recente Pupo di zucchero allo Teatro Studio Melato). Persuasive le dichiarazioni d'intenti della regista siciliana che ha spiegato come la misteriosa creatura acquatica rinneghi la propria appartenenza alla natura e scampi alla sua vendetta offrendole in cambio la vita di un umano, per di più amato. Quindi niente affatto una vittima, se mai una disadattata, pronta comunque a uccidere. Tuttavia alla prova dei fatti, nonostante lo spettacolo sia ben riuscito, questi intenti sono sopraffatti dalla musica di Dvořák che ci fa partecipi del triste destino di una coppia mal assortita. Grazie a tutta la sua sapienza di compositore sinfonico, che alle melodie travolgenti (vedi la Preghiera alla luna di Rusalka nel primo atto o la disarmante meditazione all'inizio del terzo) accosta momenti quasi impressionistici, nenie infantili ad aspre sonorità, danze slave a tripudi canori wagneriani, senza soluzione di continuità fra illusori numeri chiusi.
Sul podio il ceco Tomáš Hanus, che debuttò all'Opera di Vienna proprio con Rusalka e l'ha diretta poche settimane fa a Monaco. La sua è stata un'esecuzione robusta, che ha coordinato organico e palcoscenico, ma talvolta senza la cura necessaria per ricreare i mutevoli colori voluti dal compositore. Cast di buon livello, con Olga Bezsmertna perfettamente a suo agio nei panni della protagonista e Dmitry Korchak in quelli del Principe; la strega Ježibaba è affidata alla voce calda di Okka von der Damerau (già Maria Aegyptiaca nell'Ottava di Mahler diretta da Chailly lo scorso mese), mentre Jongmin Park è un dolente Vodník ed Elena Guseva un'elegante Principessa straniera. Ottima la coppia "buffa" del Guardiacaccia e dello Sguattero (Jiří Rajniš e Svetlina Stoyanova), come seducenti sono le ninfe boschive di Hila Fahima, Juliana Grigoryan e Valentina Pluzhnikova.
Tornando allo spettacolo, i primo e il terzo atto sono ambientati in una chiesa gotica diroccata, con una rosone luminoso e al centro una pozza d'acqua che riflette bagliori cangianti, quasi un invito allo spettatore ad accettare il gioco della mutevolezza, sconosciuta alle nature silvane che seguono altri protocolli. Nella pozza ci passano un po' tutti, vi si esibiscono anche le girls della strega in esercizi di danza acquatica. Emma Dante, complice la costumista Vanessa Sannino, ha risolto il problema della mancanza di arti inferiori della protagonista sistemandola su una carrozzella e dotandola di tentacoli da piovra. Che in cambio della perdita della voce, le vengono poi sostituiti dagli assistenti della strega con un paio di gambe con le quali Rusalka non è però mai a proprio agio. Finché i tentacoli le vengono restituiti con un efficace coup de théâtre, un'ascensione al cielo al termine del secondo atto. È questo l'atto più vivace, con situazioni diverse inventate dallo scenografo Carmine Maringola; in apertura una barriera di fogliame animato chiude il palco ed è inquietante vederne delle parti che si staccano, scendono in proscenio, rotolano, fanno dispetti allo Sguattero. Poi l'azione passa al castello, dove i cortigiani gozzovigliano a tavola, le gambe immerse nell'acqua fino al ginocchio, mangiano tentacoli di polipo (col comrensibile terrore della muta). Non previsto dal libretto, ma più che giustificato, al castello a un tratto compare il doppio di Rusalka che assiste impotente al proprio funerale, il cadavere adagiato su una chiatta galleggiante sulla pozza d'acqua e poi portato in corteo. Introdotto da marziali squilli di tromba come da partituta, c'è pure il balletto al quale tenta di partecipare l'infelice Rusalka ormai rifiutata dal Principe, nel frattempo invaghito della Principessa straniera. Prima che riappaia Vodník con suo angoscioso leitmotiv a rimettere ciascuno al proprio posto. In tutto questo accumulo di situazioni, va riconosciuto a Emma Dante il merito di aver conservata palpabile l'ingenuità del racconto, sfrondandolo però della bonomia stereotipata e accompagnando lo spettatore in un mondo poco rassicurante.
Al termine dello spettacolo applausi per tutti, preceduti dall'apparizione singola del soprano protagonista con la bandiera ukraina. Un gesto probabilmente non concordato col teatro perché, fatto salvo il massimo rispetto per la tragedia della guerra in atto, questo potrebbe giustificare future esibizioni di bandiere russe, libiche, siriane, afgane, irakene, iraniane. L'elenco dei luoghi dove l'umanità si sta scannando sarebbe lungo e imbarazzante.
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