I racconti di Hoffmann diventano un musical kitsch

Scala: deludente la direzione di Chaslin

Les contes d'Hoffmann (Foto Brescia e Amisano)
Les contes d'Hoffmann (Foto Brescia e Amisano)
Recensione
classica
Teatro alla Scala, Milano
Les contes d'Hoffmann
15 Marzo 2023 - 31 Marzo 2023

La nuova produzione scaligera di Les contes d'Hoffmann con Frédéric Chaslin sul podio e la regia di Davide Livermore ha quasi tutti i connotati per non finire annoverata fra gli spettacoli memorabili. Il regista, per una volta, non ha acceduto coi video firmati Giò Forma, limitandosi a utilizzare le più discrete ombre di Controluce Teatro d'Ombre in compenso ha stipato lo spazio di mimi in tuta nera, solo in apparenza servi di scena, ma disposti a tutto. Ad agitare una grande quantità di doppi della bambola meccanica nel primo atto, ad assediare Olimpia perché canti nel secondo e nell'atto veneziano a stendere un gigantesco telo scuro sopra la platea per dare al pubblico la sensazione d'essere immerso nell'acqua della laguna, ma impedendo per qualche minuto la vista di Nicklausse e Giulietta che cantano la barcarola dondolandosi su un'altalena. Il doppio ruolo di Hoffmann narratore e personaggio è risolto guarda caso proprio con un suo doppio; ogni tanto sostituisce lo scrittore al tavolino, che va avanti e indietro su un nastro trasportatore, a battere sulla macchina da scrivere o accasciarvisi sopra ubriaco. Tranne quando, non si sa perché, la macchina da scrivere prende fuoco. Nell'Epilogo Hoffmann-personaggio esce da una bara-gondola a raccogliere dalle comparse dei fogli sui quali è stato redatto chissà cosa e consegnarli a Hoffmann-scrittore. Tutto risulta parecchio farraginoso, talvolta con anche qualcosa in più, come il vezzo del protagonista di girare sempre col telefonino nel primo atto per farsi dei selfie o l'insistita mania di tutti di ballare o almeno accennare dei passi di danza al ritmo dell'orchestra. Cosa che automaticamente fa uscire il cantante dal personaggio e lo trasforma in guitto da avanspettacolo. In verità l'impressione generale che se ne ricava è proprio quella di un musical kitsch, poco adatto a illustrare le folli e raffinate fantasie dello scrittore. Data l'impostazione non mancano nemmeno i giochi di prestigio: la candela retta da Olimpia che svolazza sopra le prime file della platea e il tavolino che Miracle fa levitare quando compare il fantasma della madre di Antonia. Date le premesse, c'è pure un personaggio da circo, un nano con cilindro che fuma perennemente il sigaro e accompagna i tre personaggi malefici. Poco importa se sia un loro assistente o il diavolo in persona.

La direzione d'orchestra non riscatta questo confuso accumulo di effetti gratuiti perché risulta greve, con scarsa attenzione a far emergere il caleidoscopio di colori di cui è maestro Offenbach. Se ne è avuta subito l'impressione all'attacco del primo atto, con la squisita e spiritosa polonaise appiattita frettolosamente, e prima ancora nel prologo alla chiusa sognante della canzone di Kleinzac che dovrebbe concentrare in poche battute una sorta di rimpianto del passato, anche queste ignorate dall'orchestra. Altro discorso meritano le voci, Marina Viotti è un'eccellente Musa e un ottimo Nicklausse, fra le tre donne fatali primeggia Eleonora Buratto che (nonostante l'annuncio in sala che avrebbe cantato indisposta) è risultata un'Antonia appassionata e sicura vocalmente; del tutto meritevoli Federica Guida nella parte complicata della bambola meccanica e Francesca Di Sauro nei panni di Giulietta. Luca Pisaroni nei tre ruoli malefici ha mostrato sicurezza di voce, pur non avendo la presenza scenica necessaria per renderli veramente diabolici. Spiritoso e disinvolto François Piolino, vestito da fantesca, che canta e balla come Cochenille, Frantz, Pitichinaccio. Vittorio Grigolo ha sostenuto con piglio l'impegnativo ruolo del protagonista, con voce sicura, anche se in scena si atteggia più spesso a guappo di periferia che a tormentato scrittore romantico, ma almeno ha il merito di trasmettere un po' di carica vitale al podio.

Al termine applausi per tutti, spesso ripetuti e insistiti durante lo spettacolo, mentre fischi decisi all'indirizzo del direttore d'orchestra. 

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