Gli orologi di Ravel

La Scala applaude il dittico L'heure espagnole e L'enfant et les sortilèges

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Maurice Ravel
17 Maggio 2016
Serata gioiosa alla Scala coi due atti di Ravel (edizione del Festival di Glyndeboune 2012), diretta da Marc Minkowski per la regia di Laurent Pelly. Non si son mai visti così tanti orologi in scena come per L'heure espagnole, appesi alle pareti, incassati nei mobili, e ciascuno con una personalissima idea del tempo. Alcuni vanno al contrario, altri muovono le lancette forsennatamente, alcuni fanno ruotare il quadrante. Eppure la macchina teatrale funziona come un orologio, merito del regista che ha fatto un meticoloso lavoro coi cantanti. Mattatrice assoluta la bravissima Stéphanie D’Oustrac nei panni di Concepcion, una fedifraga spiritosa che regge imperterrita il ritmo bocaccesco degli andirivieni dei corteggiatori, prima di scappare col mulattiere. Stessa elegante arguzia, meticolosamente messa a punto, per L'enfant et les sortilèges, con anche effetti speciali, come il Fuoco che esce dal camino per ballonzolare in aria. E con un solo piccolo inciampo quando il previsto fondale con la carta da parati strappata dalla piccola peste si è inceppata e non è scesa dall'alto. Facendo temere qualche incidente. Poco male. Marianne Crebassa, protagonista, è perfettamente a suo agio ed è stata di toccante tenerezza nel lungo a solo ("Toi, le coeur de la rose”) nella buia notte dell'immenso palcoscenico. Ma bravissimi tutti, per voce e gestualità, compreso il coro di voci bianche dell'Accademia, che impersonava i numeri agli ordini del maestro di matematica. La direzione di Minkowski è stata autorevole, ma non ha riservato sorprese entusiasmanti. Gran successo di pubblico con gli artisti che sono riapparsi segnalando le doppie parti interpretate, la Madre col cucchiaio della Tazza Cinese, lo Scoiattolo con in mano la testa della Gatta, ecc. Peccato che ci fossero tanti palchi vuoti, nei quali all'ultimo momento sono stati sistemati i ragazzi dell'Accademia per far numero.

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