A Gand una Clemenza di Tito alla francese
Nuovo allestimento che guarda al passato firmato da Michael Hampe, fino al 13 maggio all’Opera di Gand, dal 23 al 3 giugno all’Opera di Anversa
A limitarsi ai decori dai vividi colori stile impero e ai costumi scintillanti dei protagonisti e di soldati che sembrano corazzieri, sembrerebbe più di assistere a un’operetta che all’ultimo lavoro serio di Mozart.
Abituati dall’Opera di Anversa e Gand a nuove produzioni molto moderne nella concezione e realizzazione, una Clemenza di Tito come quella ha appena debuttato a Gand sorprende per il suo allestimento firmato dall’anziano Michael Hampe che si limita a illustrare la storia nel modo più piano possibile, ed in effetti è ben comprensibile, avendo come obiettivo, sembrerebbe, più la brillantezza e la nitidezza delle forme (ma il Campidoglio con la cupola schiacciata è proprio orribile), che la coerenza: e infatti ad aristocratici che sarebbero perfetti pure per la sala da ballo parigina della Traviata si affianca un popolo che sembra più composto da proletari ottocenteschi che cittadini romani.
Il risultato è involontariamente un po’ buffo. Come se non bastasse, ad accentuare l’impressione d’operetta, da una parte la direzione di Stefano Montanari che è – giustamente, là dove deve esserlo – molto briosa, e dall’altra il fatto che per le parti di Sesto e Annio sono state chiamate le brave, rispettivamente, Anna Goryachova e Cecilia Molinari, ma che travestite da uomini appiano come degli sbarbatelli alla prima recita scolastica e sono davvero poco credibili, e fanno ridere, come amanti (soprattutto Sesto al fianco di una Vitellia interpretata da quella bella donna che è il soprano svedese Agneta Eichenholz dalla voce potente).
Detto questo gli appalusi sono stati abbondanti innanzitutto per la giovane mezzosoprano russa che grazie al suo talento ha saputo rendere viva la parte di Sesto, facendo presto dimenticare il suo aspetto acerbo, e dare spessore a quel tradimento interiormente tanto dibattuto frutto di un amore tanto grande quanto cattivo consigliere. Lo stesso è possibile dire di Cecilia Molinari che ha ben disegnato vocalmente il suo Annio facendo presto sorvolare sulle sue sembianze di studentello.
Fisicamente adatti al ruolo invece, e buona prestazione complessiva, di Anat Edri come Servilia e del basso belga Markus Suihkonen come Publio. Nella parte di Tito infine Lothar Odinius, corretto, solenne, ma un po’ spento e, come il coro, poco incisivo, mentre l’orchestra risponde adeguatamente alla direzione dalle idee ben precise di Montanari, la componente forse più moderna di tutto il nuovo allestimento.
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