A Francoforte torna a sognare il Principe di Henze 

L’Oper Frankfurt inaugura la stagione con Il Principe di Homburg di Hans Werner Henze in vista del centenario del compositore

Der Prinz von Homburg (Foto Barbara Aumuller)
Der Prinz von Homburg (Foto Barbara Aumuller)
Recensione
classica
Stuttgart, Opernhaus
Der Prinz von Homburg (Il Principe di Homburg) 
22 Settembre 2024 - 26 Ottobre 2024

Commemorazioni ovunque, anche nei teatri europei. Anticipando il centenario della nascita nel 2025, è l’Hans Werner Henze del Prinz von Homburg ad aprire la stagione delle nuove produzioni dell’Oper Frankfurt. 

È la chiave onirica quella scelta dal regista Jens-Daniel Herzog per rappresentare la vicenda di Federico II di Assia-Homburg, il Principe di Homburg protagonista del dramma di Heinrich von Kleist alla base del libretto di Ingeborg Bachmann per l’opera di Henze. Dorme sul proscenio il protagonista, contro lo sfondo di una parete bianca fortemente prospettica lungo la quale si vedono sedie, tavolini e appendiabiti, che accoglieranno gli altri attori della vicenda, sempre in scena, in una ennesima variante del teatro che rappresenta se stesso. In questo nuovo allestimento, risulta attenuato soprattutto il classico tema kleistiano del dissidio fra l’obbedienza agli ordini e l’agire secondo una astratta idea di giustizia, già mitigato nella riscrittura di Bachmann, che smussa certi spigolosi eccessi bellicisti soprattutto nella lingua del dramma originale (costati la dura accusa di “prussianesimo” da parte di Brecht) e accentua il carattere amletico del protagonista, incapace di agire secondo le logiche sociali o militaresche ma sollecitato all’azione da un sentire profondo che si manifesta nel sogno. Manca del tutto anche uno spessore politico, non assente nelle intenzioni di Henze, il quale auspicava che questo suo lavoro del 1960 agisse come “brillante provocazione” rispetto alla perdita dell’identità culturale della Germania ovest post-bellica (non è molto diversa dall’Europa di oggi) per “sviluppare una nuova identità, un'identità di libertà, solidarietà e pace.” 

Sul tema del sogno si spinge anche oltre il gesto registico di Herzog atterrando sul terreno del sonno (in fondo, non li distingue che una consonante): il suo Homburg pare afflitto da una forma di narcolessia che si manifesta nei momenti cruciali della sua vicenda umana. Che si tratti di una fuga dal reale o altro, non è poi così interessante ma inevitabile è un certo effetto comico (involontario?), soprattutto nel finale qui pochissimo drammatico, chiuso simmetricamente con l’immagine di apertura di Homburg sdraiato al suolo e gli altri personaggi/attori (o magari mostri) che vegliano sul suo sonno. 

Lo spettacolo ha comunque una sua certa asettica eleganza, soprattutto nell’organizzazione del palcoscenico rotante (lo scenografo è Johannes Schütz) sul quale si trovano pochi, evocativi elementi – una gabbia geometrica che funge da piccolo palcoscenico stilizzato per le vicende della trama e una seconda gabbia sospesa che funge da prigione – e nell’uso sapiente delle luci di Joachim Klein, più che nei colorati costumi (dello stesso Schütz con Wicke Naujoks) privi di chiari riferimenti temporali. Il palcoscenico in continuo movimento è anche funzionale alla decisione di presentare l’opera senza pause. Nonostante lo sforzo richiesto agli spettatori, ne guadagna soprattutto la dimensione musicale, affidata alla solida tecnica di Takeshi Moriuchi, che legge l’articolata partitura henziana con sguardo analitico e gesto tagliente. La Frankfurter Opern- und Museumorchester fa la sua parte offrendo un suono limpido dalle trasparenze cristalline e una precisione quasi cameristica. Il resto lo fa una compagnia di canto molto solida, fatta tutta di cantanti dell’ensemble del teatro. Protagonista è il baritono Domen Križaj perfetto nell’incarnare la natura lunare di Homburg con una linea di canto delicata e poetica. Magdalena Hinterdobler, invece, è una energica Natalie molto compiuta sul piano scenico e di notevole potenza vocale piegata alle esigenze espressive (fra l’altro reduce da una smagliante Krysothemis la sera prima nell’Elektra a Colonia, di cui riferiremo a parte). Yves Saelens incarna invece l’Elettore del Brandeburgo con un notevole dominio della scena e una tenuta vocale ancora intatta. Nei ruoli minori, Magnus Dietrich disegna un Hohenzollern introverso e ricco di sfumature poetiche nelle compassionevoli attenzioni all’amico Homburg. Bene tutti gli altri soprattutto negli impeccabili ensemble (assente il coro) di cui la partitura è costellata. 

 

A qualche settimana dalla prima, il pubblico latita un po’ ma in sala c’è concentrazione e calore negli applausi tributati a tutti gli interpreti alla fine delle intense due ore scarse di musica. 

 

 

 

 

 

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