Non esiste un'edizione critica del "Faust", che ne avrebbe bisogno più di ogni altra opera. È stato dunque giocoforza ricorrere per l'inaugurazione della stagione dell'opera all' unica versione disponibile del capolavoro di Gounod, l'ultima, quella in forma di grand-opéra approntata per l'Opéra di Parigi nel 1869, però con alcuni aggiustamenti: la reintroduzione della romance di Siebel nel terzo atto, l'abolizione della chanson à boire di Faust nel quinto, il taglio di due numeri delle danze della notte di Valpurga, pochi altri tagli minori qua e là. Era comunque un'esecuzione meno rimaneggiata rispetto a quelle correnti. Benissimo. È stata però ancora rimandata a data da destinarsi la conoscenza della prima versione, quella del 1859 in forma di opéra lyrique, più snella e concisa, perché usava il parlato e il melologo al posto del recitativo accompagnato e perché non aveva le danze, ma non solo per questo. È un peccato ma bisogna aver pazienza e capire le difficoltà. Però è il colmo che l'estensore del programma di sala nemmeno accenni all'esistenza di queste due diverse versioni (e tanto meno alle versioni intermedie di Strasburgo e Bruxelles). In quest'esecuzione quasi integrale, che dura oltre quattro ore, compresi i due intervalli, le lunghezze e gli scompensi della versione in forma di grand-opéra diventano ancora più evidenti ma sono compensati dal guadagno di pagine dove raramente viene meno la sapienza della strumentazione, l'accuratezza e la godibilità dell'armonia, l'elegante tornitura delle melodie. Di queste qualità Gianluigi Gelmetti ha dato perfettamente conto, dilatando molto i tempi per delibare fino all'ultima goccia le raffinatezze della scrittura di Gounod. La sua direzione delicata e limpida, senza quello sfumato che passa per tipicamente francese e che è agli antipodi del gusto classicheggiante di Gounod, ha trovato un'ottima risposta nell'orchestra e nel coro (il lavoro di Andrea Giorgi sta dando i suoi frutti). Anche il cast era di prim'ordine. Il Mefistofele di Roberto Scandiuzzi, nonostante una voce velata e non saldissima nei registri estremi, imponeva la sua presenza dominante: era gentiluomo, seduttore, ironico, senza istrionismi da guitto. Giuseppe Filianoti, che ha la voce e l'impostazione ideali per Faust, deve ancora acquisire in pieno lo stile francese e impadronirsi più a fondo del personaggio, ma sono peccati veniali, soprattutto se si considera che è ancora molto giovane e che debuttava nel ruolo. Darina Takova è una Marguerite vocalmente impeccabile: più che la malinconia intrisa di attesa sensuale della canzone del re di Thule e più che la civetteria capricciosa dell'aria dei gioielli (i cui vocalizzi non presentano problemi per una virtuosa come lei) sono i momenti patetici del quinto atto a scaldarla e a trovare una piena realizzazione espressiva. La voce drammatica, il colore scuro, gli accenti marcati, gli acuti sparati di Alberto Gazale non sempre si adattano a Valentin. L'interprete più perfettamente adeguata al suo ruolo è Marina Comparato (Siebel). Bene anche Martha Senn (Marthe) e Filippo Bettoschi (Wagner). La scena consiste in un grande cubo di vetro: può essere interamente vuoto o accogliere lampade e vasi da fiori in stile art nouveau di formato colossale; può essere perfettamente trasparente o riflettere immagini, luci e la sala stessa del teatro; può essere immobile o girare vorticosamente insieme al corpo di ballo al ritmo del grande valzer della kermesse del secondo atto; può essere la teca in cui Marguerite attende come una bambola l'arrivo di Faust o il labirinto in cui i due faticano a ritrovarsi o il locale dark in cui si agitano i figuranti sadomaso della notte di Valpurga. Hugo De Ana è l'artefice di tutta la parte visiva (tranne le coreografie di Leda Lojodice, ben realizzate dal corpo di abllo e dai primi ballerini Laura Comi e Mario Marozzi) ma la soluzione dello scenografo De Ana, spettacolare e allo stesso tempo sobria, immaginifica e allo stesso tempo razionale e fredda, limita il regista De Hana in una gabbia che lascia libera solo una piccola fetta di palcoscenico verso il proscenio. Ma tutto è funzionale alla visione cupa e opprimente di De Ana e al suo rifiuto di quanto è intrattenimento e pompierismo in un'opera che non a caso ebbe enorme successo nella Francia del secondo Impero. Forse un grand-opéra, che presenta una grande varietà di toni e di stili, esigerebbe una corrispondente varietà di scene, cosicché, quando proprio alla fine il cubo si fa da parte e lascia apparire una grande chiesa goticheggiante alla Viollet-le-Duc, ci accorgiamo che la mente e gli occhi avevamo un po' sofferto la mancanza di effetti scenici come questo. Un'edizione comunque di gran classe, che ha presentato un "Faust" musicalmente e concettualmente più coerente. Perfino il pubblico mondano delle inaugurazioni si è scaldato, applaudendo a lungo tutti gli interpreti.
Note: Nuovo allestimento in coproduzione col Teatro Regio di Torino
Interpreti: Filianoti/Nagy, Scandiuzzi/Surjan, Takova/Voulgaridou, Gazale/Rivenq, Comparato/Custer, Senn/Curiel, Bettoschi/Bellanova, Comi, Mariozzi
Regia: Hugo De Ana
Scene: Hugo De Ana
Costumi: Hugo De Ana
Coreografo: Leda Lojodice
Orchestra: Orchestra coro e dorpo di ballo del Teatro dell'Opera
Direttore: Gianluigi Gelmetti
Maestro Coro: Andrea Giorgi