Fascino francese
Successo per Les Vents Français a Bolzano
Recensione
classica
Quando si ha la fortuna di assistere ad un concerto con artisti d’eccellenza come quello de “Les Vents Français” basta un solo aggettivo per descrivere la serata: strepitosa. Non servono molte parole, come descrizione dei fraseggi, disquisizioni sulle scelte timbriche o sull’intonazione, annotazioni dell’equilibrio delle parti o dell’insieme, commenti sullo stile o sull'intepretazione. E questo perché quando si ha il piacere di ascoltare grandi interpreti – in questo caso il gotha degli strumenti a fiato, ossia il flautista Emmanuel Pahud, l’oboista François Leleux, il clarinettista Pascal Moraguès, il cornista Radovan Vlátković e il fagottista Gilbert Audin, assieme all’elegante e virtuoso pianista Eric Le Sage – di colpo la figura dell’interprete svanisce ed appare, prepotentemente, la forza della partitura, l’emozione della musica. Ecco che le opere diventano capolavori e disvelano in modo lampante le dinamiche interne, i percorsi, le arditezze, e tutto acquisisce un senso. In questo modo il Quintetto op. 52 di Spohr rivela il palpitante amore dell’autore per la moglie, per la quale scrive una parte pianistica assolutamente rilevante, a dir poco solistica nelle sue volatine brillanti e virtuosistiche rispetto ai fiati, cui spetta un ruolo quasi di accompagnamento. Mentre nel Quintetto KV 452 di Mozart si rimane affascinati dal sublime ricamo con cui dialogano gli strumenti, in un continuo scambio di melodie, e da quel finale dimesso, contenuto, intimo, che rivela un piacere privato dello stesso autore che amava moltissimo eseguire questa partitura. Il breve Capriccio op. 79 di Saint-Saëns, quasi un pezzo lirico per tre fiati solisti con l’accompagnamento del pianoforte, rifulge come un uovo Fabergé, abbagliante nella luminosità delle sue gemme, elegante nelle sue perfette proporzioni e al contempo così piccino da nascondersi velocemente nella tasca di velluto di una dama quale prezioso segreto. Onslow dimostra nel suo Quintetto op. 81 di aver fissato per sempre sul pentagramma la natura profonda dei fiati, costruendo un Allegro Spirituoso su quella gaiezza che riconosciamo nel dna di questi strumenti.
Il concerto termina con Poulenc, che nel suo Sestetto riassume tutto: l’esuberanza, la gaiezza, il sogno, lo stridore, l’innamoramento, l’impeto. E quel finale, che sembra scritto apposta per chiosare l'ultimo verso dell’Inferno dantesco, con tutto quello che comporta il prima e il dopo, il passato ed il futuro: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Interpreti: Emmanuel Pahud, flauto; François Leleux, oboe; Pascal Moraguès, clarinetto; Radovan Vlatković, corno; Gilbert Audin, fagotto; Eric Le Sage, pianoforte.
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