“Don Carlo”, grandi aspettative in parte deluse

La Scala inaugura con un allestimento segnato dalla direzione puntigliosa di Chailly, la regia tradizionale di Pasqual e la Netrebko in primo piano tra le voci

Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Recensione
classica
Milano, Teatro alla Scala
Don Carlo
07 Dicembre 2023 - 02 Gennaio 2024

Il Don Carlo di Verdi, che ha inaugurato la stagione della Scala 2023-24, si presentava come un successo annunciato: Riccardo Chailly sul podio per il suo amato Verdi, un regista esperto come Lluis Pasqual, voci di prim'ordine e il coro scaligero diretto da Alberto Malazzi. Eppure, l'aspettativa della vigilia è andata in parte delusa, forse per una serie di coincidenze. Fin dalle prime battute Chailly ha ottenuto dall'orchestra il giusto colore brunito, talvolta misterioso. Straordinaria la sezione dei violoncelli, come esemplare il lungo preludio del quarto atto d'impressionante impatto sonoro, ma nitido in ogni particolare. La puntigliosità del direttore nel leggere ogni più piccolo dettaglio della partitura ha però creato talvolta effetti forse non voluti coi cantanti, un solo caso per tutti: il terzetto del primo atto dopo l'arrivo di Rodrigo e il suo "Ecco il regal suggello, i fiordalisi d'oro". Lo scambio mondano e disinvolto tra i personaggi, che dovrebbe risultare frizzante e giocoso, è rimasto penalizzato da un'analisi talmente dettagliata, che ha comportato un rallentamento dei tempi, appesantendo il tutto, e perdendo di vista la tensione dell'intero arco drammaturgico. Squilibri che si sono ripetuti più volte nel corso dell'opera.

Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)

Fra gli interpreti Anna Netrebko (Elisabetta) ha sicuramente meritato la palma, specie nell'invocazione a Carlo V del quarto atto, che le è valsa parecchi minuti di applausi. Elina Garanča ha affrontato le due anime canore di Eboli con assoluta disinvoltura, elegante e spigliata nelle "Canzone del velo", quanto furiosa come una tigre nel "Don fatale, don crudele". La voce calda di Luca Salsi ha dato vita a un Rodrigo appassionato, pur coi limiti di una gestualità che non è andata oltre lo sbracciarsi convenzionale del cantante in scena. Lo stesso vale per Francesco Meli, nel ruolo del titolo, non sempre partecipe dello spirito dolente del personaggio. Ben diversa la vecchia scuola di Michele Pertusi, in perfetta sintonia col tormentato Filippo II; per sua sfortuna con un momentaneo calo di voce al termine del secondo atto (tanto da convincere il sovrintendente Dominique Meyer a uscire ad annunciare che il mal di gola non avrebbe distolto il basso dal suo impegno). Eppure, nonostante il malessere, "Ella giammai m'amò" ha avuto un'esecuzione impeccabile; mentre lo scontro col Grande Inquisitore è risultato indebolito perché il sudcoreano Jongmin Park (che ha sostituito all'ultimo momento l'indisposto Ain Anger) non è risultato all'altezza, né vocalmente, né come presenza scenica.

Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)

La regia tradizionale di Lluis Pasqual si è fondamentalmente basata sulla bella torre di alabastro inventata da Daniel Bianco, che si apre, si chiude, fa addirittura intravedere una luna piena, ma nonostante le astute tecnologie rimane prevedibile e alla fin fine annoia. Pasqual ha volutamente citato Las Meninas di Velasquez nella scena del giardino, facendo intervenire dei nani ballerini, mentre i costumi neri di Franca Squarciapino (senza dubbio i migliori elementi visivi dello spettacolo, elegantissimi e solo allusivi all'epoca storica) sono principalmente ispirati a Frans Hals. Nella scena da Grand-Opéra dell'Autodafè, il regista ha scelto di mostrare il back-stage della festa che accompagna le anime dei condannati al rogo per sottolineare quanto sia complesso, ma necessario al potere allestire la propaganda. Ma dopo che il retablo d'oro è rotato su se stesso mostrando nella nicchia centrale prima Filippo II, poi il Grande Inquisitore. L'uscita finale di Carlo ha riservato poi la sorpresa di vederlo sprofondare nel sottopalco, adagiato sulle ginocchia della statua di Carlo V, eliminando così la sua tradizionale via di fuga organizzata dal nonno psicopompo.

Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)

Al termine dello spettacolo grandi applausi agli interpreti tutti, quando però è comparso Chailly dopo la seconda apertura del sipario ci sono stati buu circoscritti ma prolungati. Altri buu, più consistenti, ma tutto sommato ingiustificati, sono piombati invece su Pasqual.

 

Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Don Carlo (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)

 

PS. La serata è iniziata con l'annuncio del sovrintendente Meyer che il Canto Lirico Italiano è stato riconosciuto Patrimonio Immateriale dell'Umanità; poi il tradizionale Inno di Mameli (ma chissà perché non quello europeo), seguito da un sonoro grido dal loggione "Viva l'Italia antifascista", applaudito da parte della sala. Intervento forse suggerito dalla presenza nel Palco Reale del presidente del Senato Ignazio La Russa e del vice presidente del Governo Matteo Salvini, ai quali si è stranamente accompagnata la senatrice Segre, di solito molto chiara nello schivare compromessi di sorta. La cronaca ha poi registrato un intervento di agenti della Digos che hanno chiesto le generalità del loggionista reo di antifascismo.

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