Da una casa di morti all’americana

Bruxelles: regia di Warlikowski, ottima la direzione del maestro Boder

Da una casa di morti
Da una casa di morti
Recensione
classica
Monnaie, Bruxelles
Da una casa di morti
06 Novembre 2018 - 17 Novembre 2018

Convince l’idea del regista polacco Krzysztof Warlikowski di ambientare l’opera di Janacek in quella che potrebbe essere una qualsiasi prigione americana d’oggi, sopratutto perché riesce a mettere in risalto tutta la modernità della musica dell’ultima opera di Janáček, in particolar modo nei momenti di danzaMa non si arriva a godere appieno il libretto ispirato, com’è noto, dal romanzo semiautobiografico di Fiodor Dostoïevski che illustra senza pietà la vita disumana dei campi di prigionia siberiani, perché i diversi racconti di vita avrebbero potuto essere meglio delineati e così resi più comprensibili e godibili. E l’impatto delle parti vocali, con un cast tutto di buon livello, ne risente. Si intravedono quelle scintille di umanità che pure nell’abbisso dell’orrore e nelle situazioni più degradanti sussistono, scintille che hanno attirato Janáček verso il lavoro di Dostoïevski, ma confuse in soluzioni americarizzanti che infine, sommate una dopo l’altra, danno l’impressione di un’ispirazione che è rimasta un po’ troppo rozza e appoggiata agli stereotipi di una prigione a stelle e strisce. 

I tre atti sono presentati senza intervallo, un sipario di metallo si apre per mostrare un uomo che gioca a pallacanestro nel cortile di una prigione, e si richiude subito dopo per trasformarsi in schermo del primo dei tre contributi filmati che ad inizio di ogni atto aggiugono elementi alla riflessione sul significato della giustizia e della morte. E’ una prigione americana e quindi ci sono tanti personaggi di colore, ci si esprime con la break dance e la musica di Janáček si mostra perfetta per accompagnarla con i suoi improvvisi movimenti bruschi e le percussioni martellanti. Una partitura nervosa, a tratti tumultuosa, dura, ma con slanci ancora di romanticismo lirico che il direttore  d’orchestra Michael Boder rende benissimo, ed oltretutto si tratta della nuova edizione critica di John Tyrrell et Charles Mackerras, pubblicata nel 2017, che depura ancora di più l’opera di Janáček di tutte le aggiunte postume sopravvenute per il fatto che l’autore è morto senza potere rivedere il terzo tempo, qui reso quindi in tutta la sua potenza espressiva avanguardista. 

Si tratta di una coproduzione Monnaie - Royal Opera House ed il cast è quello che, con alcune eccezioni, ha già interpretato l’opera al Covent Garden lo scorso marzo. I protagonisti, si sa, sono una ventina, in questo allestimento per la maggior parte cantanti slavi e britannici già con esperienza nei rispettivi ruoli, alcuni hanno pure preso parte alla produzione di Pierre Boulez e Patrice Chéreau, considerata ormai una referenza per quest’opera di Janáček. Si distinguono l’inglese basso-baritono Sir Willard White per carisma ed efficacia nei panni del prigioniero politico Alexandr Petrovič Gorjančikov,  e il tenore slovacco Štefan Margita che debutta alla Monnaie come Luka Kuzmič, un ruolo che ha già cantato in tutto il mondo. Toccante poi il tenore canadese Pascal Charbonneau come Alyeya, parte già incarnata nella produzione di Robert Carsen per l'Opéra National du Rhin; convincente debutto nella parte per il tenore Jeffrey Lloyd-Roberts come il Prigioniero ubriaco. Tutti gli interpreti meriterebbero una menzione, ancora solo una citazione per il mezzosoprano austriaco Natascha Petrinsky nel ruolo della prostituta, qui abbigliata in short scintillanti e stivaletti da cowboy. Ben eseguite anche le parti del coro maschile della Monnaie.

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