Berg e Nono, drammaturgia dei sentimenti con Arditti
A Siena per il Chigiana International Festival la Lyrische Suite di Berg e La lontananza nostalgica utopica futura di Nono, con l’Arditti Quartet
Se Alban Berg è conosciuto soprattutto per le sue opere di teatro Wozzeck e Lulu, dove passione morale e ricerca di nuovi modelli comunicativi ed emozionali vengono sviluppati ai massimi livelli, la sua Lyrische Suite per quartetto d’archi, composta tra il 1925 e il 1926, rappresenta un’icona, uno straordinario compendio di tutti i fermenti estetico-formali (espressionismo/ atonalità/dodecafonia) ma anche esistenziali/creativi che caratterizzarono l’arte degli inizi del Novecento.
Della seconda Scuola di Vienna, Berg è colui che non ha mai tagliato in modo netto con il Romanticismo. Proprio nello struggente lirismo della Suite troviamo una sublime sintesi di quell’esperienza distribuita in modo geniale nello sviluppo variato del metodo dodecafonico (ma non in tutti i movimenti) che riesce a creare una tensione espressiva e drammaturgica tale da porre la Suite tra i capolavori assoluti del Novecento. Che l’opera sia stata ispirata dall’amore folgorante e “impossibile” di Berg (sposato) per Hanna Werfel (sposata) non è un dettaglio di cronaca sentimentale. Dimostra come il compositore viennese, attratto dalla modernità senza perdere contatto con la classicità, ponga l’aspetto esistenziale, l’angoscia della solitudine, l’approfondimento psicologico dei sentimenti, come momento di immersione totale nell’opera, la creazione come specchio di sé.
Sul fronte interpretativo il Chigiana International Festival propone la Lyrische Suite attraverso la lettura dell’Arditti Quartet e il cerchio si chiude. La creatura di Irvine Arditti gode di fama mondiale non per caso. Nata nel 1974, la formazione ha attraversato la storia della musica con una personalissima e altissima capacità di approfondimento e scavo di pagine contemporanee. Qualità uniche confermate sul palco, sistemato al centro della navata della Chiesa di S. Agostino.
Una lettura di Berg sfavillante. Pare che la Suite possegga la forza di autorigenerarsi, di apparire contemporaneamente legata alle suggestioni dei primi del Novecento come di svelarsi sorprendentemente contemporanea, scritta ieri. L’attacco del primo movimento Allegretto gioviale è emozione pura: come l’aprirsi improvviso di un drappo rosso sulla scena, sulla vicenda di una relazione che rimarrà ideale. Ma la Suite Lirica non è un fotoromanzo, la successione dei sei movimenti pur facendo riferimento a fasi diverse dell’innamoramento, mantiene sempre una profondità introspettiva, un equilibrio di ambienti sonori di grande fascino. La trama labirintica, la simbologia musicale e l’intensità lirica tracciano un filo narrativo costante che i violini di Irvine Arditti e Ashot Sarkissian, la viola di Ralf Ehlers e il violoncello di Lucas Fels dipanano con grande eleganza, leggerezza, equilibrio, cura del suono e dei dettagli inarrivabile.
Dopo un set di questo livello ogni accostamento sarebbe stato a rischio. E pure la proposizione di La lontananza nostalgica utopica futura opera di Luigi Nono del 1989, dopo un necessario intervallo per risolvere problematiche logistiche e tecniche, non è apparsa una stonatura. Anzi, con le nebbie di Berg che ancora aleggiavano il lavoro del compositore veneziano, nella sua esplorazione dello spazio sonoro ci ha fatto viaggiare ancora. E la composizione proprio come un viaggio è concepita, il sotto titolo è “madrigale per molti viaggiatori”, anche dal punto di vista della messa in scena. Sei leggii per le sei parti del violino solista distribuiti nell’ambiente. La parte elettronica composta da otto nastri magnetici, oggi digitalizzati, è distribuita tra otto altoparlanti che il live electronics di Alvise Vidolin e Nicola Bernardini può gestire nelle dissolvenze, nei volumi e nei silenzi.
Irvine Arditti si sposta, nell’ordine previsto dalla partitura, da un leggio all’altro. Lo fa con lentezza, come un viaggiatore attento a godere di tutti i paesaggi, di tutti i colori. Ogni leggio è tappa di un viaggio immaginifico, il suo violino è lo strumento dal quale passano riflessioni, accenti, dubbi, proclami e soliloqui che vagano nello spazio scontrandosi con le isole dell’elettronica. Ma sarebbe troppo limitativo evidenziare in quest’opera di Nono solo gli aspetti teatrali e tecnico comunicativi. In fondo il compositore ha sempre affermato che la musica è pensiero, quindi strumento politico, etico, sociale e artistico per esprimere le contraddizioni della società, la musica come parte integrante della vita. Anche in Nono quindi il sentimento, qui nel senso dell’impegno di intellettuale militante, è sviluppato nelle sue articolazioni più estreme. Quest’opera misteriosa ed errante ce ne racconta un pezzo poco prima della sua scomparsa.
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