All’Opéra Comique torna l’Armide di Gluck
Parigi: Christophe Rousset sul podio
L’ultima rappresentazione di Armide di Gluck a Parigi risaliva al 1913, davvero tanto tempo se si considera la sua bellezza e l’importanza che ha avuto nella storia del teatro musicale francese e non solo. Il riformatore Christoph Gluck, ormai a Parigi con successo da qualche anno, decise di scrivere una nuova musica, secondo le sue nuove regole che privilegiavano l’espressione del sentimento piuttosto che il virtuosismo, su quella che era allora considerata l’opera francese più bella, l’Armide di Lully del 1686, su libretto di Philippe Quinault, ultima lavoro operistico per entrambi. Quasi cent’anni dopo Lully, nel 1777 Gluck utilizza quindi lo stesso libretto, solo aggiungendo qualche verso nel finale, ispirato dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, per raccontare in musica la storia della principessa Armide, con poteri magici e di cui tutti si innamorano, che per la prima volta, e contro la sua volontà, si innamora a sua volta del valoroso crociato Renaud. La bella Armide non vuole amare Renaud, perché amare significa non essere più completamente padroni di sé stessi e perdere la propria libertà, e chiama in soccorso l’Odio affinché scacci l’Amore. Ma infine sarà invece Renaud a lasciarla per tornare con il suo esercito preferendo la gloria all’amore. La sfida di riportare in vita un’opera cosi densa di emozioni contrastanti è stata colta dalla regista, svizzera Lilo Baur, ex attrice e che vanta negli ultimi anni diverse regie per la Comédie-Française, e dal direttore Christophe Rousset, specialista di musica barocca, riscopritore di tante pagine trascurate di quel periodo, alla testa dell’ensemble da lui creato dei Talens lyriques che suonano strumenti d’epoca. E la loro Armide si fa apprezzare innanzitutto per le magnifiche interpretazioni anche attoriali dei protagonisti e per le antiche sonorità che sono sublimate in una sala come la Favart dalle dimensioni e acustica assai simili a quelle dell’allora Académie Royale de Musique per cui l’opera di Gluck è stata creata. Ad interpretare Armide è stata chiamata il soprano francese Véronique Gens, considerata infatti anche una grande comédienne, perfetta per la parte, timbro un po’ brunito, grande espressività, dizione cristallina, acuti che sono veramente dei fendenti, capace di esprimere al meglio, con delicatezza e tante sfumature i sentimenti più intimi, come nel lamento che segue il suo abbandono da parte di Renaud, ma allo stesso tempo dal piglio autorevole della donna di potere sino all’espressione tonante della sua più furibonda ira. La parte di Renaud è stata affidata invece a Ian Bostridge, tenore inglese dal bel timbro e di buona potenza, un po’ rigido e spaesato ma queste sue caratteristiche in fondo ben si adattano a disegnare la figura di un eroe tormentano in terra straniera. Nella folta schiera di personaggi, tutti di buon livello, si fanno notare poi il baritono-basso franco-irlandese Edwin Crossley-Mercer come Hidraot, re di Damasco, e la personificazione dell’odio affidata al mezzosoprano francese Anaïk Morel. Un plauso anche al coro Les éléments che conferma la sua attitudine a performance accurate, in questo caso ben muovendosi anche in scena in un’opera in cui, con la riforma di Gluck, il coro aveva preso buona parte del posto importante tenuto invece dal balletto nella precedente opera francese. Balletto in quest’allestimento comunque ricordato dalla costante presenza in scena di tre danzatori utilizzati spesso, ma non sarebbe necessario, per riempire visivamente le parti solo strumentali della musica di Gluck e più funzionali all’intreccio solo nella seconda parte dello spettacolo quando si uniscono al coro per animare le forze del male e il giardino incantato. Le scene, essenziali, di Bruno de Lavenère, si limitano a pareti traforate e linee luminose, per evocare il fasto dei palazzi orientali, e poi un grande albero che domina uno sfondo che cambia di colore, le belle luci sono di Laurent Castaingt, per evocare il deserto piuttosto che il giardino. Più interessanti i costumi di Alain Blanchot, un mix d’ispirazione dal medioevo sino alla Cina imperiale, bello sopratutto quello di Armide nel primo atto con lunghe strisce di di tessuto che diventano spire avvolgenti di seduzione oppure fruste di collera.
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