Alcina nell'isola del disincanto

Jossi Wieler e Sergio Morabito firmano una regia abbastanza convenzionale a dispetto diuna presunta "modernità" sbattuta in faccia dello spettatore dell'Alcina di Lione. Per fortuna, qualche cantante, tra cui Ann Hallenberg, salva lo spettacolo.

Recensione
classica
Opéra de Lyon Lione
Georg Friedrich Haendel
21 Maggio 2006
Lo spettatore ha sin dai primi momenti una sensazione di "déjà vu". Quella firmata da Jossi Wieler e Sergio Morabito è una regia che non sprizza certo originalità. Il decoro di un'abitazione borghese in lenta decadenza con quadri e mobili accantonati non è la prima volta che lo si è visto in teatro. Senza contare che l'incanto dell'isola di Alcina si fa non poca fatica a immaginarselo in simili condizioni. Sicuramente è funzionale l'idea di piantare un maxivetro al centro della scena: permette di separare longitudinalmente la scena in due parti, simbolizzando l'alterità, il doppio. Ma anche questa è una trovata con cui a volte i due registi giocano senza troppa connessione con la vicenda. E questo è proprio il vero problema di questa Alcina di Lione: si tratta di una regia-cornice, riutilizzabile per qualsiasi contenuto. Il tutto condito, da un certo gusto per il trash - attitudine assai dominante in Germania dove i due registi hanno l'abitudine di lavorare - e da un debole per i piedi: i cantanti li devono annusare, leccare, venerare. Non si tratta per loro della sola umiliazione. Ne devono subire altre. Devono pure cantare in tutte le posizioni (e di preferenza distesi per terra) o con gli occhi bendati, oppure ritrovarsi in camicia di forza proprio nel momento di una difficilissima cadenza. Nel cast spicca Ann Hallenberg nei panni di Bradamante. Sempre all'altezza della parte, assai convincente nelle arie di furore grazie ad una tecnica ineccepibile e seducente nei momenti di pathos in virtù di un ammaliante legato e timbro sempre naturale. Catherine Naglestad è un'Alcina irregolare che spesso strapazza le arie (come la celebre "Mi restano le lagrime" dell'atto III). Stéphanie d'Oustrac ha più il fisico che la voce del ruolo di Ruggiero.

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