L'attualità di Antigone
Le musiche di scena di Mendelssohn a Santa Cecilia
Un titolo accattivante per l’inizio della stagione estiva dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Antigone, musiche di scena per la tragedia di Sofocle, evocava spazi aperti, ma la raffinata scrittura di Mendelssohn sicuramente risuonava meglio nella Sala Santa Cecilia dove il concerto era infatti ambientato. L’impianto della serata (in collaborazione con il Teatro di Roma – Teatro Nazionale) era piuttosto articolato e prevedeva un adattamento del testo, ad opera del filologo Gianni Garrera, con un narratore (Massimo Popolizio) che in lingua italiana conduceva nella vicenda, con alcuni attori che recitavano i ruoli chiave della tragedia in lingua tedesca (ma i sopratitoli traducevano in italiano e in inglese), mentre per la parte musicale alcuni cantanti solisti e un quartetto vocale (tutte voci maschili) si affiancavano all’intero coro maschile. La musica di Mendelssohn, una sequenza di cori che fungono da intermezzo tra un episodio e l’altro, a tratti invece assume i caratteri del melologo, accompagnando le voci recitanti dei personaggi della vicenda. Diversi piani quindi si intersecavano, quello drammaturgico recitato dagli attori in melologo in lingua originale, a cui si affiancavano le riflessioni sulla vicenda ad opera del narratore. E altresì il testo della tragedia di Sofocle, presentato nella versione del 1839 tradotta in tedesco da Johann Christian Donner e prescelta per l’esecuzione nel 1841 presso la corte di Federico di Prussia, è filtrato, per così dire, nella messa in musica, dalla sensibilità di un musicista tedesco del primo Ottocento come Mendelssohn. Il quale, profondo conoscitore della cultura classica, esprime al meglio quel clima equilibratamente preromantico, nobilmente classico ma già aperto ad una nuova sensibilità che reinterpreta la lettura dei tragici greci.
Molti quindi gli elementi di interesse di una proposta che è stata accolta, anche in termini di affluenza, con un’ottima risposta di pubblico e che nel connubio tra musica e parola, declinato in modo anche inusuale, trovava il suo appeal. Dopo una solenne introduzione orchestrale che esprimeva i temi contrastanti, la voce narrante di Massimo Popolizio entrava autorevole, e con la straordinaria gamma di intenzioni che conosciamo guidava l’ascoltatore nelle profondità di una vicenda paradossale e simbolica. La bellezza dei cori per voce maschile – ben eseguiti dal Coro maschile dell’Accademia di Santa Cecilia preparato da Andrea Secchi - in parte attenuava la tragicità del tutto, ma pure ne evidenziava la nobiltà. Gli interventi delle voci recitanti in lingua originale (Christoph Hülsen, Simonetta Solder, Alessandro Budroni), inseriti nella scrittura orchestrale, erano sporadici e imponevano agli attori ritmi ben determinati. Tempi sempre piuttosto scorrevoli, attenzione per l’equilibrio narrativo caratterizzava la direzione di Francesco Lanzillotta, al suo debutto ceciliano, più incline a tenere insieme la struttura narrativa che ad evidenziare la drammaticità dei contrasti. Sempre ai consueti alti livelli l’orchestra e bene i soli, per la parte cantata, Patrizio La Placa e Hyunmo Cho, oltre ad un quartetto vocale formato da Hyungkoo Kim, Federico Benetti, Federico Piermarini, Antonio Sapio.
In tutto un’ora di musica e parole con un crescendo emotivo giunto al culmine quando in chiusura, il narratore-Popolizio declamava a proposito della disumana esecuzione di Antigone “Sarebbe un’utopia pensare che gli uomini possiedano una imperturbabile innata saggezza… Perché la buona e la cattiva fortuna si alternano sempre e non si può sapere quale sia il proprio destino…I morti sono vivi…E le decisioni arroganti dei superbi possono provocare risposte spietate del Destino”. Un brivido ha percorso la sala. Tragica attualità degli antichi tragici.
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