One single shot, 10 canzoni che non avete mai sentito

Una playlist da One Single Shot di Guido Festinese, la storia di 52 successi irripetibili della storia della popular music

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One single shot, un solo colpo. «52 storie discografiche di successi irripetibili» recita il sottotitolo del libro di Guido Festinese fresco di uscita per EDT (480 pp., 20€). 

Irripetibili ma anche, a ben leggere, irripetuti: musiciste e musicisti destinati a sparire dopo una sola apparizione nel mainstream, o alle soglie dello stesso. Un disco, un album o poco più, e poi l'oblio – fino a oggi, all'epoca della retromania e di YouTube. 

Abbiamo chiesto a Guido Festinese di scegliere 10 ascolti dal libro, 10 colpi singoli per una playlist diversa dalle solite playlist...

 

Donatella Bardi, "Regina in questa età", da A Puddara è un vulcano, Wea, 1975

La puddara, in siciliano, è la chioccia: identifica per chi abita nella Trinacria la costellazione delle Pleiadi. Lassù se n’è volata, alla fine del 1999, la fata gentile Donatella Bardi, una delle più intense voci del secondo dopoguerra, musa freak delicata e travolgente assieme, tra Milano e la Sicilia. Mille partecipazioni, un solo disco, per la Regina di quella età.

 

Hasaan Ibn Ali, "Atlantic Ones (Edit)" da Metapysics, Omnivore Recordings,1965

Il mondo del jazz è pieno di figure laterali, sfuggenti, impossibili da richiudere in un preciso recinto stilistico: pensate a Roland Kirk, a Sun Ra. Il più eretico e imprendibile di tutti è stato Hasaan Ibn Ali, al secolo  Henry Lankford. Pianista vertiginoso, tocco stipato di  vertiginose dissonanze. Una fiammata, Max Roach a prenderlo sotto l’ala, poi la follia.

 

Lily & Maria, "Melt Me", da Lily & Maria, Columbia, 1968

Greenwich Village, seconda metà degli anni Sessanta, la “tana” del folk revival e di ricerca prgressiva: lì fanno la loro comparsa effimera e meravigliosa Lily Fiszman e Maria Neumann. L’una sfrontata e diretta, l’altra molto “cool”. In duo, un binomio celestiale e giovanissimo di voci e di ispirazione. Durato un attimo.

 

Touch, "Alesha and Others", da Touch, Deram,1968

Quando incisero il loro disco in sala c’erano Jimi Hendrix, Mick Jagger e Grace Slick. Loro, nientemeno, traghettarono il rock psichedelico a stelle e strisce che odorava d’Erba Maria e acido lisergico nelle già strutturate, inconfondibili atmosfere del progressive rock primordiale.  Un ponte tra i Vanilla Fudge e i Beatles del Sergente Pepe, insomma. Svanito nel nulla. 

 

Sweet Slag, "Twisted Trip Woman", da Tracking With Close-Ups, President 1971

 A volte si ha la netta sensazione, ascoltando dischi oscuri ripescati dall’armadio dell’oblio, che qualche viaggiatore del tempo si sia infiltrato nel mondo della popular music. Da dove arrivavano nel ’71 i tempestosi Sweet Slag inglesi, rock acido semi punk e chitarre imprevedibili, lacerti urticanti free jazz e molte, molte altre torsioni? Chi può dirlo. 

 

 Lula Côrtes e Zé Ramalho, "Trilha De Sumé", da Paêbirú, Rozenblit 1975

 Quando la sfortuna non solo colpisce, ma prende anche la mira, difficile far buon viso a cattivo gioco. A questa formidabile coppia di musicisti brasiliani, autori di un disco capolavoro che trasuda sinuosa psichedelia tropicalista, accostabile a certi momenti apicali di Claudio Rocchi, capitò anche l’incendio del magazzino. Fine corsa.

 

Tony Fruscella, "I’ll Be Seeing You", da Tony Fruscella, Atlantic 1955

Immaginatevi un Chet Baker italoamericano ancora più fragile, più esposto alle brutte lacerazioni che la vita sa riservarti, come da canonica enciclopedia del maledettismo jazz anni Quaranta e Cinquanta. Così era il poetico, sbandato Tony Fruscella: un suono “soffiato” inconfondibile sul suo piccolo ottone che era il respiro di un’anima inquieta.

 

Birmingham Sunday, "You’re Out Of Line", da Birmingham Sunday, Alarm Clock Music 1969

Presero il nome da un atroce attentato razzista bombarolo di suprematisti nel 1963, quello che ispirò Alabama a John Coltrane. Erano una band fiera e potente, arrivavano dal Nevada, ma i riferimenti, ascoltando il loro unico ellepì, vanno ai Jefferson Airplane, ai Doors, ai Quicksilver: bussola musicale puntata a Ovest, dunque, California libertaria. Con una vocalist, Debbie Park, che sembra la sorellina di Grace Slick. 

 

Michaelangelo, "West", da One Voice Many, Rev-Ola 1971

Quando tentarono di far loro guadagnare qualche spicchio di notorietà, lo slogan usato fu: “Il suono che sorride”. Sorprendentemente vicino alla realtà della loro musica, assai eclettica, con una voce celestiale, quella di Angel Peterson, e il suono tutt’altro che scontato dell’autoharp elettrificata, un curioso attrezzo per la musica della famiglia dei salteri.

 

Juliette Lawson, "Who is India?", da Boo, Sunbeam Records 1972

 Storia di una songwriter inglese dalla voce impeccabile (né folk, né jazz, diceva di se stessa) che non voleva essere una star, che scriveva canzoni memorabili lodate da tutta la critica, e odiava in realtà salire sui palchi, apparire e diventare famosa: il contrario di oggi, in sostanza. Ce la fece: svanendo in un dignitoso anonimato che le si confaceva pienamente. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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