Le geometrie erotiche dello Scarlatti comico
Al Teatro Malibran di Venezia va in scena “Il trionfo dell’onore” in occasione del tricentenario della morte del compositore

Dopo numerose tappe nel teatro musicale vivaldiano, torna il barocco nel cartellone del Teatro La Fenice ma quello di area napoletana. Cogliendo l’occasione del terzo centenario della morte di Alessandro Scarlatti, il teatro lirico veneziano riporta in scena al Teatro Malibran Il trionfo dell’onore, opera comica, piuttosto singolare nel catalogo del compositore palermitano, andata in scena per la prima volta nel 1718 nel napoletano Teatro dei Fiorentini. L’arguto libretto di Francesco Antonio Tullio presenta un complesso intreccio al centro del quale c’è Riccardo Albenori, donnaiolo e “dissoluto” (come da sottotitolo). Sedotta e temporaneamente abbandonata, Leonora Dorini è in caccia di Riccardo, il quale nel frattempo ha messo gli occhi su Doralice Rossetti, nipote della matura Cornelia Buffacci. Questa vorrebbe impalmare Flaminio Castravacca, zio di Riccardo, che però è più interessato alla sua cameriera, Rosina Caruccia, la quale è a sua volta corteggiata dal capitano Rodimarte Bombarda, amico di Riccardo e suo compagno di scorribande. A chiudere il cerchio c’è il fratello di Leonora, Erminio Dorini, che ama Doralice e ovviamente è furioso nei confronti del rivale Riccardo. Questo autentico esercizio di virtuosismi erotici, che coinvolgono ben quattro coppie, è destinato a concludersi con il pentimento del dissoluto e il conseguente ristabilimento delle regole sociali. Quindi giovani coi giovani, vecchi coi vecchi e servi coi servi: l’onore trionfa.
Ha l’estroso segno dell’artista Ugo Nespolo lo spettacolo sulla scena del Teatro Malibran: nessuna ovvia baroccheria, ma fondali e quinte dipinte di colori sgargianti con edifici sghembi sui lati, un paesaggio collinoso come sfondo e siparietti scorrevoli a tema ornitologico con gufi, galli, cigni e oche, che fanno il verso ai protagonisti della vicenda. L’estrosa cromia delle scene investe anche i costumi, disegnati con fantasia dallo stesso Nespolo e realizzati da Carlos Tieppo senza precise coordinate temporali come interpretazioni dei tipi umani rappresentati nell’opera. Dal canto suo, la regia di Stefano Vizioli traduce in movimenti, curatissimi e incessanti, le complesse geometrie immaginate da Scarlatti e Tullio.
Recuperata da Aaron Carpenè grazie a un paziente lavoro di revisione sul manoscritto, la partitura di Scarlatti è affidata al braccio esperto e rodato al gusto barocco di Enrico Onofri, che dirige con grande vivacità e slancio l’Orchestra del Teatro La Fenice ormai di casa nello stile barocco frequentato da diverse stagioni. Sul palcoscenico, un gruppo di interpreti ben affiatati, stilisticamente competenti e scenicamente disinvolti restituisce vita a questo lavoro che meriterebbe riprese meno sporadiche. Impeccabile Giulia Bolcato nei panni di un Riccardo fin troppo nobile così come Francesca Lombardi Mazzulli, una Doralice piuttosto sfrontata e vocalmente sicura. La palma della simpatia la conquistano però Giuseppina Bridelli, scoppiettante Rosina, e Tommaso Barea, Rodimarte di notevole esuberanza vocale e non solo. Piuttosto enfatico nell’espressione vocale come nella gestualità è l’Erminio di Raffaele Pe, al quale Scarlatti riserva le poche arie di furore, mentre non brilla per varietà espressiva la Leonora di Rosa Bove. Nella coppia matura, si impone la Cornelia “in drag” di Luca Cervoni, l’unico ruolo autenticamente comico, che mette un po’ in ombra il pur impegnato Dave Monaco, un Flaminio forse troppo giovane per essere davvero personaggio credibile.
Qualche vuoto in sala alla terza delle cinque recite in programma. Applausi generosi per tutti.
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