Onirico Debussy
A Parigi nuova produzione evocativa di Pelléas et Mélisande. Sul podio Antonello Manacorda.

L’allestimento all’inizio sembra di cifra minimalista, ma man mano che si avanza si scopre che le scene non sono cos ìsemplici come appaiono inizialmente ed il gioco è raffinatamente evocativo ed onirico. Tutto su toni scuri, anche i proiettori servono quasi solo ad illuminare il nero, come in un lungo sogno immerso nell’oscurità, dove i luoghi sono solo vagamente suggeriti da qualche elemento. Malgrado il fascino innegabile e raffinato della nuova messa in scena di Pelléas et Mélisande l’impressione però, infine, è un po’ di monotonia visuale e che non sia riusciti completamente a valorizzare la complessità della musica di Debussy che, anche se le scene in ambienti tenebrosi sono prevalenti nel libretto, è cosi ricca di contrasti sonori e sfumature, spesso evanescenti, altre volte potenti, che la direzione del maestro Antonello Manacorda riesce invece a rendere a tutto tondo, mettendo in evidenza ancora di più l’uniformità un po’ eccessiva nei toni della concezione del regista Wajdi Mouawad, anche se c’è pure qualche tocco di colore e di contrasto visivo, come la carcassa sventrata e rossa di sangue al centro del palcoscenico che stride, volutamente, con il resto. Tanti i video, forse troppi, di Stéphanie Jasmin che, dopo la suggestiva foresta iniziale, propone immagini centrate su particolari quasi indistinti, evocative della grotta oscura, della fonte miracolosa, dal castello triste per la malattia del re, con i protagonisti che, a tratti, fluttuano pure immersi nell’acqua, immagini belle ma sfocate che non aiutano a comprendere gli avvenimenti. Tutti i versi del libretto però sono proiettati in scena, l’opera si può letteralmente leggere in palcoscenico, sotto, o sopra oppure accanto ai cantanti, oltre che negli usuali sottotitoli, ed è una scelta discutibile che se facilita la comprensione, altrimenti in questa messa in scena un po’ difficile da capire, di quello che sta succedendo, indubbiamente distoglie anche un po’ l’attenzione della parte musicale, e non ce ne dovrebbe essere bisogno in un allestimento d’opera efficace. Ma il regista d’origini libanesi Wajdi Mouawad, cresciuto in Canada ma da anni residente in Francia, direttore del teatro nazionale La Colline di Parigi dedicato alle creazioni teatrali contemporanee, sembra avere più fiducia nella parola scritta che nella capacità narrativa ed emozionale dell’orchestra e delle voci. Eppure, non solo l’orchestra rende assai bene bene la complessa partitura dell’unica opera di Debussy, frutto di dieci anni di lavoro e dalle caratteristiche personalissime e innovative, tratta dal dramma simbolista di Maurice Maeterlinck, ma anche le voci qui sono belle e di bravi interpreti. Al debutto nel ruolo di Mélisande c’è Sabine Devieilhe, ed è un ottimo debutto, soprano dalla voce leggera e agile, la sua interpretazione della giovane donna misteriosa, spaventata e un po’ selvaggia, è delicata, ricca di sfaccettature, molto commovente. Al suo fianco come Pelléas c’è il giovane baritono inglese Huw Montague Rendall che invece ha già interpretato la parte all’Opera di Rouen, in quella di Santa Fe e l’anno scorso al Festival d’Aix-en-Provence, insomma è considerato oggi un cantante di riferimento per il ruolo, con la sua voce dal colore chiaro, giovanile e poetico, che ben si adatta al carattere del personaggio ancora un po’ immaturo. Ben riusciti emozionalmente i loro duetti, in particolare quello famoso in cui Mélisande scioglie i suoi lunghissimi capelli dalla finestra della torre in basso verso Pelléas che se li arrotola intorno, come in un abbraccio, anche se visivamente non è memorabile. Il fratellastro Golaud, sposo di Mélisande, è invece il giustamente più scuro di voce baritono basso canadese Gordon Bintner che ben incarna l’uomo più maturo d’età ma violento nei modi per insicurezza, al punto da uccidere il fratello quando sospetta che la moglie l’abbia tradito, solo la dizione andrebbe un po’ migliorata. La madre dei due fratelli, Geneviève, è poi il bravo mezzosoprano Sophie Koch mentre il re Arkel è interpretato con autorevolezza dal basso Jean Teitgen. Molto brava anche la giovanissima Anne-Blanche Trillaud Ruggeri, solista della Maîtrise de Radio France, che interpreta Yniold, il figlio della prima moglie di Golaud. Il regista cura bene le posizioni e le azioni, anche se le scene di Emmanuel Clolus basata su gradoni neri che cambiano d’altezza ed un fondale a strisce rigide da cui, con qualche difficoltà, anche entrano ed escono i personaggi, non aiutano la naturalezza dei loro movimenti interrompendo la magia evocativa. Non convincono del tutto nemmeno i costumi di Emmanuelle Thomas, belli e probabilmente volutamente non coerenti tra loro, meno riusciti sono in particolare quelli del bizzarro animale della prima scena e poi dei tre miserabili. Molte belle ed efficaci invece le luci di Éric Champoux che contribuiscono in modo determinante all’atmosfera onirica del lavoro. Alla prima calorosi applausi finali per tutti. In coproduzione con l’Abu Dhabi Festival.
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