“Rodelinda, Regina de’ Longobardi” conquista Roma
Per la prima volta quest’opera di Händel è stata eseguita a Roma, in forma di concerto
Rodelinda, Regina de’ Longobardi di Georg Friedrich Händel ha una buona circolazione all’estero, come si può controllare anche facendo una rapida ricognizione nell’archivio del Giornale della musica on line. Invece in Italia ha avuto la prima esecuzione in tempi moderni soltanto nel 2010 al Festival della Valle d’Itria, dopo di che, andando a memoria, non è stata più eseguita fino all’edizione in forma di concerto ospitata dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma, che con Händel dovrebbe avere un particolare legame, perché è la città dove il “caro Sassone” si è fermato più a lungo e dove ha ascoltato e ha composto più musica durante il suo viaggio in Italia, fondamentale per la sua formazione. Nel 1710, dopo un breve ritorno nella natia Germania, partì alla volta di Londra, dove sarebbe rimasto per quasi mezzo secolo, fino alla morte. Non è dunque una boutade affermare che il più grande musicista inglese della storia sia stato un tedesco, cioè Händel, ma, poiché giunse in Inghilterra come compositore di opere italiane, si potrebbe meglio dire che il più grande musicista inglese sia stato un compositore “italiano” nato in Germania: la musica italiana e in particolare l’opera era la koinè musicale dell’Europa del tempo.
A Londra Händel compose nel 1725 Rodelinda, su libretto di Nicola Haym, nato a Roma da una famiglia con ascendenze tedesche, che si era trasferito a Londra come violoncellista ma era poi diventato il librettista favorito di Händel. Alludeva sicuramente a loro due, pur senza farne esplicitamente i nomi, colui che accusò qualche musicista attivo a Londra di “impiegare poeti idioti e guastamestieri, inesauste fonti di nonsenso”, e quell’altro che scrisse che "le opere che si fanno in Inghilterra, quanto belle sono per la musica e per le voci, altrettanto sono storpiate per la poesia". Sappiamo per esperienza che spesso chi accusa e deride i libretti ne valuta l’aspetto puramente letterario - spesso modesto - e non prende in considerazione la loro primaria funzione di supporto alla musica, ma il libretto di Rodelinda è veramente un nonsenso, un guazzabuglio incredibile di eventi che paiono messi insieme a caso. Un esempio: nel secondo atto, per dar modo a Bertrarido di cantare una bellissima aria dove i ruscelli “piangono al pianto mio” e i monti ”fann’eco ai miei lamenti”, Haym trasporta di punto in bianco l’azione in un “luogo delizioso”, che si suppone remoto e isolato, eppure, come per caso, vi giungono prima Eduige e poi Unulfo, i due supporter di Bertrarido contro l’usurpatore Grimoaldo, che era promesso sposo di Eduige, sorella di Bertrarido, ma ora per ragioni di potere vuole sposare Rodelinda, moglie di Bertrarido, e minaccia di uccidere Flavio, figlio di Bertrarido e Rodelinda, ma ad un certo punto sarà proprio Rodelinda a chiedere di uccidere il piccolo Flavio se mai sarà costretta a sposare Grimoaldo. Ma poi Rodelinda scopre che Bertrarido non è morto, eccetera eccetera. Haym stesso sapeva fare di meglio.
Alle prese con un simile libretto, Händel scrive delle arie splendide - è superfluo dirlo - ma non ha modo di cogliere e dare vigore alle varie situazioni drammatiche del dramma e di esprimere la personalità e il sentire dei vari personaggi, che è proprio quel che avviene nelle altre sue opere e lo rende superiore ai suoi rivali italiani. Anche l’esecuzione, seppure di alto livello, ha contribuito ad accentuare quest’aspetto.
La lira d’Orfeo - l’ensemble strumentale fondato da Raffaele Pe e che si autodefinisce “contenitore creativo dell’immaginario musicale di Raffaele Pe” - ha dimostrato fin dall’ouverture la sua ottima qualità. Suona senza direttore, sostituito dal primo violino Elisa Citterio, secondo l’uso settecentesco, ma per essere veramente “filologici” dovrebbe esserci anche un maestro al cembalo. La Citterio come violinista è precisissima ma come “maestro di concerto” si limita a dare all’ensemble qualche minima indicazione sugli attacchi, sul tempo, sulle dinamiche e non fa molto per chiedere più sfumature, per dare più respiro alla musica, per instaurare un rapporto più stretto con i cantanti.
La protagonista Rodelinda apre l’opera con una cavatina di non particolari difficoltà tecniche ma proprio la sua semplicità e la sua cantabilità evidenziano il timbro privo di fascino della soprano canadese Karina Gauvin. La prima aria col da capo fa affiorare anche i suoi limiti tecnici e la sua fastidiosa tendenza ad eliminare quasi totalmente le consonanti, rendendo non soltanto incomprensibili le parole, che non sarebbe grave, ma alterando anche i colori e gli accenti della melodia stessa. Va detto che nel seguito dell’opera la Gauvin si rivela più adeguata alla parte, anche perché sono state tagliate alcune sue arie. Il vero protagonista dell’opera diventa così Bertarido interpretato da Raffaele Pe, uno dei migliori controtenori odierni, grazie a un bel timbro luminoso, omogeneo, senza asprezze anche nel registro acuto (d’altronde con le sue variazioni non fa mai puntate di dubbio gusto negli estremi acuti). Ottimo nelle pagine drammatiche e ancor più in quelle patetiche e liriche.
Unulfo, “segreto amico” di Bertrarido, era il polacco Rafal Tomkiewicz, un altro controtenore dalla voce ben timbrata, sonora, omogenea, come soltanto qualche hanno fa sembrava impossibile. Giuseppina Bridelli è stata impeccabile nella parte di Eduige, sorella di Bertrarido. Passando ai rivali di Bertrarido, la parte da baritenore di Grimoaldo era affidata a Luigi Morassi, che ha rispettato lo stile ma ha saputo introdurvi anche inflessioni da “cattivo”, che normalmente non si sentono nel repertorio del primo Settecento ma si confanno benissimo a quel perfido usurpatore. Più neutra l’interpretazione di Garibaldo, l’altro “cattivo”, da parte di Mirco Palazzi. Tutti si sono fatti apprezzare per il gusto e la misura delle fioriture e delle variazioni. E tutti vanno lodati per aver superato il confronto con l’acustica dell’enorme Sala Santa Cecilia, buona per una grande orchestra sinfonica ma inadatta alla musica del primo Settecento.
Un aspetto negativo era l’ampiezza dei tagli, che entro una certa misura sono ammissibili ma non se finiscono per cambiare i connotati di alcune scene, come in questo caso.
La sala era piena a metà, il che significa comunque almeno un migliaio di spettatori, che hanno applaudito con grande entusiasmo, dimenticando qualche limite dell’esecuzione per il piacere di scoprire quest’opera di Händel.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
A Ravenna l’originale binomio Monteverdi-Purcell di Dantone e Pizzi incontra l’eclettico Seicento di Orliński e Il Pomo d’Oro
Saltata la prima per tensioni sindacali, il Teatro La Fenice inaugura la stagione con un grande Myung-Whun Chung sul podio per l’opera verdiana