“Der Rosenkavalier”, capolavoro di Petrenko
Applausi interminabili per il debutto lirico di Kirill Petrenko al Piermarini
L'allestimento del Rosenkavalier firmato da Harry Kupfer, coprodotto col Festival di Salisburgo nel 2014 e arrivato due anni dopo alla Scala con Zubin Metha sul podio, torna con l'attesissima direzione di Kirill Petrenko, al suo debutto lirico al Piermarini. Il maestro russo ha superato ogni aspettativa, anzi ha lasciato stupefatti per come ha lavorato ai colori dell'orchestra portandola a uno stato di grazia. A parte la continua tensione, non c'è dettaglio che passi inosservato. Come il basso tuba che continua a fare sberleffi ai suoi stessi colleghi e al palcoscenico. Insomma un'esecuzione di assoluta perfezione, ma anche distaccata, come uno splendido oggetto di orificeria, tanto che talvolta verrebbe voglia d'incitare il maestro a lasciarsi un po' andare nelle tante occasioni disseminate da Strauss. Detto questo, non c'è che augurarsi che Petrenko in futuro torni quanto prima alla Scala.
Due soli gli interpreti recuperati dal cast 2016, Krassimira Stoyanova e Günther Groissböck. Il soprano bulgaro ha confermato di essere una Marescialla di gran classe, per il calore della voce, per la padronanza scenica e la capacità di evocare il velo di malinconia che accompagna il personaggio. Quando ricorda allo specchio la piccola Resi di un tempo o quando spiega con saggezza cosa comporti il trascorrere del tempo, Stoyanova regala emozioni di rarissimo ascolto. Groissböck, per volere del regista, rompe invece la tradizione del buffo stupidotto e gradasso che fa sorridere, per impersonare un barone Ochs cafone e antipatico, favorito anche dal portamento prestante e dall'imperiosa vocalità. L'americana Kate Lindsey ha la figura adatta a impersonare Octavian, ma non è in grado di esprimerne alcun turbamento. Un esempio per tutti nel terzo atto: la sua invocazione "Marie Theres'!" passa del tutto inosservata, quasi fossero solo note da cantare, mentre è un'accettazione drammatica, tant'è che dà il via al terzetto e al duetto finali. Assai meglio Sabine Devieilhe nei panni di Sophie, in un giusto equilibrio fra l'ingenua e la capricciosetta. Michael Kraus, baritono di lunga esperienza, è un Faninal elegante e manierato al punto giusto. Tra i personaggi minori, tutti ottimamente interpretati, da segnalare Tanja Ariane Baumgartner nei panni di Annina e Piero Pretti in quelli del tenore italiano alle prese con la raffinata aria belliniana sui versi di Molière tradotti in un italiano petrarcheggiante dal funambolesco Hugo von Hofmannsthal. Uno dei tanti esempi di quanto lui e Strauss si siano divertiti a creare questo capolavoro.
La regia di Kupfer, complici le scene di Hans Schavernoch e i costumi di Yan Tax, trasferisce l'azione da un rimpianto Settecento a una Vienna tra fine Ottocento e primissimo Novecento e fa in modo che la nostalgia della Marescialla coinvolga tutti, precipitandoci in qualche modo fra le pagine de Il mondo di ieri di Stefan Zweig (escluse naturalmente quelle profetiche sul nazismo). Ne sono testimoni i grigi fondali con le fotografie delle cupole della Hofburg, delle sale dei palazzi, delle immense serre, il tempo passato è perso per sempre. Un barlume di speranza la si trova nel finale quando la scena si apre sul parco coi due ragazzi innamorati e la limousine di Faninal che riporta in città la Marescialla. Per scelta del regista, non c'è il paggetto che raccoglie il fazzoletto, ma un prestante giovanotto di colore che lo annusa inebriandosi. Segno che Octavian verrà presto sostituito nel cuore di Marie Theres'.
A fine spettacolo applausi interminabili per tutti e segnatamente per Kirill Petrenko, salutato da ripetute ovazioni dal loggione.
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