Il Regio di Torino inaugura con Manon

 

La versione di Puccini, la bellezza orchestrale e il realismo poetico

Manon Lescaut (Foto Simone Borrasi)
Manon Lescaut (Foto Simone Borrasi)
Recensione
classica
Torino, Teatro Regio
Manon Lescaut
01 Ottobre 2024 - 26 Ottobre 2024

Il Teatro Regio di Torino ha inaugurato con Manon Lescaut di Puccini. O, meglio sarebbe dire, ha cominciato a inaugurare, poiché l’inaugurazione si compone di tre titoli sul medesimo personaggio: Manon Lescaut di Puccini, Manon di Massenet e Manon Lescaut di Auber, tutti a distanza ravvicinata nel mese di ottobre.

 

Tagliamo corto sull’opera in sé: quella più popolare delle tre, quella che a Torino centotrentun anni fa consacrò Puccini a novello Verdi un po’ più wagnereccio, quella col quarto atto che è una lunga e straziante meditatio mortis, quella delle trine morbide, della cortese damigella, della donna non vidi mai, e andiamo dritto al punto.

 

Il punto è l’Orchestra del Teatro Regio nelle mani di Renato Palumbo. Sebbene spesso coprisse i cantanti, aveva un suono così ricco di colori, sfumature, precisione nei difficilissimi passaggi dei fiati e morbidezze degli archi, che si godeva ugualmente solo con lei. Un po’ come se invece, ad esempio, del duetto del secondo atto, si ascoltasse una scena d’amore da un poema sinfonico di Strauss o un concerto di Korngold: d’accordo, non sarà la stessa cosa, ma mica si butta via.

 

Il pregio si trasformava, come detto, in difetto quando l’orecchio si concentrava sulle voci. Erika Grimaldi (Manon), Roberto Aronica (Des Grieux), Alessandro Luongo (Lescaut) Carlo Lepore (Geronte) e i vari comprimari, tutti professionisti delle cui capacità non c’è da dubitare, erano sovente costretti a sforzare innaturalmente l’apparato fonatorio per oltrepassare il pur voluttuoso magma orchestrale, col risultato che il canto perdeva inevitabilmente in eleganza e sottigliezza interpretativa.

 

Sulla regia purtroppo il disappunto è generale, anche raccogliendo opinioni dal pubblico dell’Anteprima (under 30) e da quello della Prima. Secondo l’intenzione del regista Arnaud Bernard, tutte e tre le Manon dovrebbero interagire con l’elemento cinematografico. Nel caso della Manon pucciniana, la vicenda è ricollocata tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, anni durante i quali il cinema in Francia raggiungeva vette che forse non ha mai più raggiunto. Perciò, nel corso dell’opera, si vedevano proiezioni da questo o quel film dell’epoca (compreso il film più bello del mondo: Les Enfants du paradis, naturalmente) e la scena era incorniciata da cineprese, fari, cavalletti, operatori. Ma tutto ciò restava scenografia senza diventare drammaturgia. Nei casi migliori portava a variazioni di non troppo disturbo, come il Pierrot che, uscito dal film di Carné, faceva una pantomima sul minuetto in casa di Geronte; in quelli peggiori le proiezioni accentravano totalmente su di sé l’attenzione percettiva, come accaduto tragicamente durante «Sola, perduta, abbandonata». A ciò va aggiunto un fastidioso horror vacui che ha portato il regista a riempire il primo atto, già di per sé difficile quanto a gestione delle masse, di trecento scenette cha avvengono in contemporanea, e ulteriormente distraggono. Al di la di questo, gli applausi vanno comunque resi al Teatro per l’originalità del progetto Manon Manon Manon.

                                                                                                                       

Luca Siri

 

 

01/10/2024

Repliche: dal 03/10/2024 al 26/10/2024

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