Un’ode alla gioia e alla pace, per voce, pianoforte e flicorno
Successo a Parma per l’originale incontro tra Aeham Ahmad e Paolo Fresu al Festival della Lentezza
Privato del suggestivo contesto en plein air di Piazzale San Francesco e dirottato dalle minacce di maltempo al riparo sotto le non meno evocative campate gotiche dell’attigua chiesa di San Francesco al Prato, il numeroso pubblico da “tutto esaurito” convenuto a Parma per l’appuntamento finale della decima edizione del Festival della Lentezza è stato testimone dell’originale e inedito incontro tra la voce e il pianoforte di Aeham Ahmad e il flicorno – oltre all’elettronica e alla tromba – di Paolo Fresu.
Una serata che è parsa partire in sordina, sia per alcuni ritardi – dovuti vuoi allo spostamento di sede vuoi ad alcuni (e forse conseguenti) problemi tecnici – sia per la vaga impressione che il pubblico si aspettasse da subito un dialogo a due con Fresu protagonista fin dalle prime note di un concerto che invece è stato avviato da Aeham Ahmad nella dimensione solistica.
Un incipit che ha permesso al “pianista di Yarmouk” di accompagnarci nella sua dimensione espressiva, nutrita di rimandi a una tradizione folklorica siriana plasmata su vocalizzi e intervalli dal segno entico innestata su andamenti timbrico-armonici declinati tramite il suo pianoforte attraverso stilemi dal sapore occidentale. Una sequenza di brani, quella proposta da questo artista nella prima parte della serata, che ha saputo rievocare il suo percorso di musicista divenuto famoso per le sue esibizioni offerte tra le macerie del campo profughi palestinese alla porte di Aleppo. Un tracciato che lo ha portato, tra i diversi riconoscimenti, a vincere nel 2023 il Premio Yorum, istituito nel 2020 dal Club Tenco in collaborazione con Amnesty International Italia, e che questo artista ha restituito in questa occasione attraverso una passione limpida e coinvolgente.
Un’affinità con chi era in ascolto che Ahmad ha veicolato sia attraverso il suo incedere pianistico sia tramite una vocalità caratteristica, segnata da una sottile densità lanciata di quando in quando in picchi di acuta espressività. Caratteristiche che si sono affiancate al suono morbido e vibrante di Paolo Fresu, apparso nella seconda parte del concerto ad affiancare il musicista siriano palestinese in un dialogo originale, alimentato da una ricerca espressiva al tempo stesso estemporanea e pregnante.
Arricchito di quando in quando dagli inserti elettronici disseminati dall’artista sardo, l’intreccio tra voce, pianoforte e flicorno proposto dai due artisti impegnati ha saputo costruire un sentiero musicale dal segno istintivo e improvvisato ma sempre delicato e intenso, che ci ha accompagnati fino a una sorta di trasfigurazione della celebre melodia del finale della Nona sinfonia di Beethoven, quell’ode schilleriana che Massimo Mila ha proposto di leggere non tanto – o non solo – come la celebrazione della “Freude” (gioia), bensì come omaggio alla “Freiheit" (libertà). Ed è proprio la “gioia della libertà”, coniugata a un invito alla “pace”, che ci piace rintracciare nei tratteggi melodici disegnati da Ahmad e Fresu, in quell’altalena tra declinazione in tonalità minore e affioramento dell’originaria tonalità maggiore, che ha segnato questa singolare interpretazione dell’inno di una Europa chiamata – come peraltro il resto del Mondo – ad affrontare e (auspicabilmente) risolvere sanguinosi conflitti tra i popoli.
Un anelito alla fratellanza in musica, insomma, raccolto dal numeroso pubblico che ha salutato alla fine con calore questo inedito duo tra bis e ancora applausi.
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