Il Regio di Torino, teatro che visse due volte
Lo spettacolo con Laura Curino racconta i segreti della ricostruzione
I teatri, si sa, bruciano. Dalle macerie ne nascono di nuovi, o ne nasce qualcos’altro, ma ogni singola storia di teatro bruciato ha le sue avventure, i suoi personaggi, i suoi lati tragici e comici, le sue componenti in sé teatrali. E ogni storia, perché diventi memoria, necessita di essere raccontata; e perché diventi memoria collettiva, necessita di essere raccontata pubblicamente.
Quale occasione migliore del Festival Archivissima 24 per farlo? Nasce così Il teatro che visse due volte – I segreti della ricostruzione del Regio, spettacolo finale di Regio 50, l’insieme di celebrazioni per festeggiare i cinquant’anni del Teatro così come lo conosciamo, disegnato dal geniale Carlo Mollino. Lo spettacolo, ideato da Paolo Cantarella, è un’epopea di ricostruzione che dura trentasette anni. Si comincia con un incendio scoppiato nel 1936 per cause ignote – ma con un sospettato che tinge la tragedia di farsa –, si attraversano gli ordini di Mussolini, i bombardamenti, l’incerto dopoguerra, i democristiani, i comunisti, l’ondata dei «meridionali», la FIAT, l’Avvocato Giovanni Agnelli, Italia ’61, la Regina Elisabetta, Walt (che i torinesi pronunciavano Vàlt) Disney, le proteste, gli articoli su «l’Unità», Bernstein, le madame, Britten, i parrucchieri, Šostakovič, i biglietti falsi, e si approda infine al «guscio di velluto per i parassiti borghesi», come i Peppone avrebbero definito il teatro che i Don Camillo sarebbero riusciti a rimettere in piedi solo nel 1973. Insomma, un grande romanzo del Novecento italiano. Per i torinesi, anche una grande saga familiare, dove campeggiano due personaggi incredibili, degni dei migliori Fruttero e Lucentini: la coppia di architetti Morozzo e Morbelli, dei quali è bene non svelare nulla a chi non sappia.
La storia è, più che narrata, vissuta da Laura Curino, con un senso di scetticismo tutto piemontese grazie al quale l’attrice può di volta in volta parlare a nome di questo o quel personaggio e poi deriderlo o compatirlo dal punto di vista esterno di una terza persona. Questa terza persona è Vittorio Sabadin, a cui si deve la stesura del testo e la ricerca storica. I documenti d’archivio da lui raccolti evocano la vicenda proiettati su una parete di fondo, angolata come un libro aperto. Davanti ad essa, lo spazio scenico non consta che di un leggio a colonna e di qualche sedia foderata di rosso. Video, luci e regia si devono a Marco Rampoldi, assistito da Marta Besozzi. La saga, dipanata con garbo, semplicità e ironia, si conclude col nome di Maria Callas, che il 10 aprile 1973 inaugurò il nuovo Regio con la sua unica regia, I Vespri siciliani. Ma qui comincia un’altra storia (non meno appassionante, su cui c’è chi sta persino scrivendo una tesi di laurea).
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