Quel genoma di Ludwig

Un team di ricercatori internazionali ha analizzato il DNA di Beethoven partendo dalle ciocche dei suoi capelli per capire di più il suo stato di salute

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Tristan Begg analizza i capelli di Beethoven (Foto Anthi Tiliakou)
Tristan Begg analizza i capelli di Beethoven (Foto Anthi Tiliakou)

Che Beethoven abbia vissuto una vita afflitta da diversi disturbi è cosa nota. Nel Testamento di Heiligenstadt, Beethoven chiedeva ai fratelli che i disturbi fisici che lo avevano afflitto in vita venissero resi pubblici dopo la sua morte: “Non appena sarò morto, se il dottor Schmid è ancora vivo, chiedetegli a mio nome di descrivere la mia malattia e di allegare questo documento alla storia della mia malattia, in modo che almeno il mondo si riconcili con me dopo la mia morte.”

Un team di ricercatori internazionale guidato dall’archeogenetista Johannes Krause, direttore direttore dell’Istituto Max Planck per l’Antropologia Evolutiva di Lipsia, e dall'antropologo Tristan Begg dell’Università di Cambridge ha pubblicato nella rivista scientifica Current Biology il risultato di un’analisi del materiale genetico del compositore recuperato da otto ciocche di capelli messe a disposizione da collezioni pubbliche e private in Europa e negli Stati Uniti. Alcune di queste sono state escluse, poiché il loro profilo non sarebbe stato compatibile con le caratteristiche di Beethoven e la sua origine nell’attuale regione del Nordrhein-Westfalen. Fra queste, anche il più noto ricciolo che Ferdinand Hiller avrebbe prelevato dal cadavere di Beethoven già sistemato nella bara con il consenso dell’amico compositore Johann Nepomuk Hummel. Nel 1994, questa ciocca di capelli, lunga circa 15 centimetri fatta di 400 capelli circa, era stata messa all’asta dalla Sotheby’s di Londra e venduta a due collezionisti statunitensi per la cifra di 7300 dollari.

Secondo quanto pubblicato, Beethoven avrebbe avuto una serie di fattori di rischio significativi per le malattie del fegato legate a fattori ereditari e, al momento della sua morte, sarebbe anche stato affetto da epatite di tipo B, malattia manifestatasi probabilmente qualche mese prima e probabilmente contratta tramite contatto sessuale. Il team di ricercatori ha anche analizzato le possibili cause genetiche dei suoi problemi gastrointestinali cronici, i “disturbi miserabili” che il compositore accusò già dai suoi anni a Bonn e si acuirono dopo il suo trasferimento a Vienna. Nell’estate del 1821, la sofferenza epatica esplose come per la prima volta come itterizia, mentre la cirrosi epatica è ritenuta la causa più probabile della sua morte. Dai quaderni che Beethoven utilizzava per comunicare nell’ultimo decennio della sua vita, si evince che il consumo di alcol fosse moderato rispetto agli standard di consumo della Vienna di inizio Ottocento. Secondo Tristan Begg, tuttavia, “la nostra valutazione è che probabilmente consumava ancora quantità di alcol che oggi sono note per essere dannose per il fegato.” La cirrosi epatica potrebbe essere quindi dovuta all’interazione fra il consumo di alcol e i fattori di rischio genetici del compositore.

Quanto alla sua nota sordità, iniziata già all’età di 25-29 anni e progressivamente acuitasi fino alla perdita totale dell’udito già nel 1818, la ricerca non ha trovato una base genetica come si sperava. Già nel 1801 il compositore scriveva: “le mie orecchie ronzano e ruggiscono giorno e notte. Nel mio campo, è una condizione terribile”: verosimilmente era affetto da un problema di acufene. Se a lungo si è ritenuto che la progressiva perdita dell’udito fosse legata all’uso del mercurio per curare la sifilide, ipotesi smentita nel 2005 dopo l’analisi di frammenti di cranio prelevati dalla tomba del compositore. Se nemmeno l’analisi del DNA ha prodotto evidenze definitive per ora, Johannes Krause non esclude che possa accadere in futuro quando l’evoluzione delle tecniche di analisi del DNA potrà offrire risultati sui singoli genomi ancora migliori di quanto non si possa fare oggi.

 

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