Fedora alla Magritte

Scala: l'opera di Giordano diretta da Armiliato con la regia di Martone

Fedora (Foto Brescia e Amisano)
Fedora (Foto Brescia e Amisano)
Recensione
classica
Teatro alla Scala, Milano
Fedora
15 Ottobre 2022 - 03 Novembre 2022

Al progetto di Chailly di rinverdire il repertorio verista si aggiunge ora Fedora di Umberto Giordano affidata a Marco Armilliato sul podio e alla regia di Mario Martone. Il direttore genovese, debuttante al Piermarini, ha dato prova di un buon controllo di orchestra e palcoscenico, con particolare attenzione ai dettagli nei tanti e importanti passaggi sinfonici della partitura, specie l'ampio brano nel secondo atto. Cast di ottimo livello, con Sonya Yoncheva nel ruolo del titolo, voce straordinaria e grande padronanza della scena; Roberto Alagna attesissimo nei panni di Loris (sarà sostituito da Fabio Sartori nelle ultime quattro repliche) ha dato il meglio nel momento clou "Amor ti vieta" e a pari merito col soprano nell'impervia scena del disvelamento affidata al pianoforte solo, come negli appassionati scambi con Fedora. Olga è l'ottima Serena Gamberoni, disinvolta perfino nel cantare girovagando in bicicletta sul palco, mentre De Siriex è un più che decoroso George Petean..

Fedora è il terzo Giordano di Martone alla Scala e, dopo Rigoletto, la sua seconda regia nella stagione in corso, anche se in realtà Fedora era stata tolta dal cartellone 2019 causa Covid. Anche in questo caso al suo fianco la scenografa Margherita Palli e la costumista Ursula Patzak. Il regista ha fatto una scelta che si è rivelata vincente, disseminare nel corso dello spettacolo alcuni particolari di un famoso quadro di Magritte, L'assassino minacciato. In tal modo ha spazzato via qualsiasi retaggio di verismo, un bello strappo visto che da lì è nata Fedora e ne è sempre rimasta impastoiata. Gli ammiccamenti al surreale pittore belga trasformano infatti i personaggi dell'opera in figure astratte, precipitandoli in una atmosfera irreale, dove tutto è sospeso, e attirano la nostra attenzione su qualcosa che non c'è. Eppure sta per accadere, che è inevitabile, come l'anànke della tragedia greca. Già al primo atto, nel lussuoso appartamento del conte Vladimiro con vista su un quartiere di grattaceli, compaiono in quello di fronte dei neri figuri con capellacci, come quelli in primo piano ai lati del dipinto. Presenze insistenti che via via si moltiplicano, alle quali si aggiungono le figure con le teste bendate, prese da Gli amanti di Magritte. Questa astrazione diventa così un filo narrativo continuo, che ha l'apice nel terzo atto dove viene ricomposto l'intero Assassino minacciato, con la finestra che dà sui monti innevati, i misteriosi personaggi che guardono all'interno, i due killer in primo piano; c'è tutto, tranne il cadavere della donna, non manca nemmeno il grammofono a tromba sul tavolino né la dormeuse rossa. Perfino i pochi gesti stereotipati dei cantanti (rari perché la regia è stata particolarmente attenta alla recitazione) diventano parte di questo mondo irreale, come pure il continuo ribaltamento dei ruoli, così che Loris può mutare senza problemi da assassino a "santo punitor", Fedora da cuore infranto a "sirena da forca" e il postino può continuare a consegnare lettere che scatenano una tragedia via l'altra. Una volta liberata l'intera storiaccia dai lacci veristi, tout se tient.

Grande accoglienza per tutti a fine serata con un accenno di buu per il regista, che forse se l'è presa male agitando la mani annoiato. Ma la ragione comunque sta dalla sua parte, perché ha indicato una strada interessante per affrontare questo genere di repertorio.

 

 

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