Il bordello sì, la Bohème no
Una nuova lettera aperta della Conferenza dei direttori musicali di teatri e orchestre tedeschi punta il dito sulla scarsa coerenza di regolamenti anti-Covid19 che penalizzano teatri e sale da concerto e danneggiano gli artisti freelance
“Il bordello sì, la Bohème no?” Con questa domanda provocatoria, torna ad alzare la voce la Conferenza di direttori musicali di teatri e orchestre attraverso una lettera aperta, che segue quella diffusa lo scorso aprile per sollecitare soluzioni alla difficile situazione del mondo musicale dopo le chiusure di teatri e sale da concerto per la pandemia. Ora i direttori musicali stigmatizzano la scarsa plausibilità delle decisioni prese da politici e autorità in Germania per far fronte all’emergenza sanitaria. “Non è accettabile la discrepanza fra gli standard attuali in ambito commerciale e culturale” scrivono i direttori musicali, e “consideriamo inoltre con grande preoccupazione l’attuale peggioramento degli standard contrattuali e la mancanza di solidarietà nei confronti degli operatori culturali freelance, la cui sopravvivenza a rischio è una minaccia per l’intero sistema culturale della Repubblica Federale Tedesca.” Nella lettera, si parla di un vero “pugno in faccia a tutti coloro che sono impiegati nel settore della cultura” vedere voli e treni affollati, parrucchieri che non rispettano il distanziamento sociale, spiagge piene e alla fine persino la riapertura dei bordelli (legali in Germania), mentre a teatri e sale da concerto vengono imposte regole strette che limitano drasticamente le presenze mettendone a rischio la sostenibilità economica. “La cultura soffre spesso di burocrazia, mentre nel mondo degli affari spesso sono le lobby a determinare i risultati”, si afferma polemicamente nella lettera.
Non manca un riferimento alla situazione “economicamente catastrofica” degli artisti freelance: “anche per loro, come per Lufthansa, vale quanto segue: il salvataggio da parte dello Stato è meglio dell'insolvenza!” I direttori musicali stigmatizzano la crescente pratica di introdurre delle “clausole coronavirus” nei contratti di artisti freelance, che tendono a scaricare sui soggetti più fragili gli oneri maggiori: “non è la tanto decantata solidarietà a dominare, ma alcuni sfruttano la crisi per peggiorare le condizioni contrattuali degli artisti ospiti (musicisti, cantanti, registi, direttori d'orchestra, ecc.).” Da qui la proposta di istituire di un tavolo per identificare forme contrattuali più eque.
Ricordando il peso del settore della cultura nell’economia del paese con circa 1,2 milioni di dipendenti, circa 100 miliardi di fatturato e una redditività indiretta dimostrata in molti studi, i direttori musicali chiedono che non si lasci nulla di intentato per garantire che questo virus “non distrugga un sistema che è cresciuto nei secoli, che si diffonde in tutto il mondo e che è alla base della nostra visione umanistica del mondo e della nostra tanto ammirata cultura dell’istruzione.” Se così non fosse, “faremmo il gioco di tutti coloro che considerano l'arte superflua.”
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