All’Arena Il Trovatore firmato Netrebko
Verona: ottima prova del soprano nell'allestimento di Zeffirelli
Dal suo ingresso in scena capisci che è valsa la pena di essere lì, in un’arena gremita di turisti e con una scenografia che al primo sguardo appare indubbiamente datata malgrado il tocco sontuoso di Zeffirelli. L’eccezionalità di questo Trovatore all’Arena di Verona è tutto in Anna Netrebko, carismatica sin dai primi passi, siamo alla seconda recita, la sua voce è in una serata di grazia, viene in mente la Callas, pur nelle differenze, ti afferra il cuore, la magia è compiuta. Anna regalerà momenti di tecnica sopraffina, completa padronanza del fiato, pianissimo e legati da urlo, ed infatti il pubblico va in delirio. Proprio a volerle trovare una pecca, solo il solito problema in basso con la voce un po’ troppo di gola, spessa e scura, però solo veramente per qualche nota, nessuno è perfetto. Ma andiamo con ordine. La partenza è un po’ in sordina: le scene dominate da tre torri e due grandi cavalieri ai lati, il tutto color ferro arrugginito, acquistano fascino soltanto man mano che cala la sera e il gioco delle luci ne spezza l’uniformità esaltandone i fin troppi dettagli. Ma arriva Anna Netrebko, e la svolta verso l’eccezionalità della serata. Il soprano, con la sua forte presenza scenica cattura lo sguardo, colpisce la musicalità del suo canto, disegna sin dalle prime battute una Leonora forte, sensuale, donna decisa nel suo desiderio di Manrico. Manrico che è suo marito Yusif Eyvazov, l’affinità e complicità con la moglie nei duetti d’amore è palpabile. Il tenore però appare piccolo al suo confronto, dizione italiana chiarissima, ottimi intonazione e fraseggio ma voce non eroica, nei pezzi d’insieme scompare ma regalerà bei momenti, sin dalla sua romanza d’amore fuori scena nella prima parte e sopratutto, nella terza parte, con una davvero appassionata “Ah! sì, ben mio coll'essere”, strepitosa e infatti molto applaudita, che ha preceduto una sufficiente "Di quella Pira”, la cabaletta tanto attesa, onorevole ma che non ha entusiasmato. Il Conte di Luna è invece un Luca Salsi sicuro, non si discute il suo bel timbro di baritono, la perfetta intonazione e dizione, all’inizio appare solo un po’ rigido, affaticato, ma entrerà di più nella parte, e di molto, nel secondo tempo aggiungendo alla tecnica anche l’immedesimazione e l’emozione regalando, tra l’altro, un esemplare "Il balen del suo sorriso”. Il mezzosoprano Dolora Zajick è stata poi una zingara Azucena consumata, sia nel senso di artista con grandissima esperienza nella parte che le consente un’interpretazione sicura, ma anche un po’ consumata nella voce. Il pubblico l’ha molto applaudita, la classe non si discute ma è mancato un po’ di spessore, sopratutto nel registro medio, e di forza rabbiosa nell’interpretazione. Il basso Riccardo Fassi è stato infine un Ferrando appropriato e ben costruito vocalmente. Pure che il coro, diretto dal maestro Vito Lombardi, fa una buona prestazione, il suono è compatto e preciso dall’inizio alla fine dell’opera. Le masse si muovono in modo tradizionale ma con naturalezza ed energia, affascinanti le scene arabeggianti piene di colore con gli zingari della seconda parte, prestazione di livello pure per il corpo di ballo. Molto suggestiva poi la torre centrale che si apre a formare un decoratisssimo altare gotico che le luci mettono ben in risalto, momenti di battaglia d’effetto anche grazie allo sventolare delle grandi bandiere, i cavalli in scena invece non aggiungono nulla. Gran finale con una Netrebko incredibile, "D'amor sull'ali rosee” con pianissimo superbi e vocalizzi lievissimi, commovente davvero poi il Miserere conclusivo. Direzione del maestro Pier Giorgio Morandi misurata, precisa ed elegante, ben al servizio del canto.
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