Monteverdi canta l'umana fragilità a Palermo
Il Ritorno di Ulisse in patria al Teatro Massimo
Delle tre opere superstiti di Claudio Monteverdi, Il Ritorno di Ulisse in patria (1640) è la meno rappresentata e ogni occasione di vederla è preziosa. Ma la versione proposta al Massimo di Palermo dal 7 al 10 febbraio è diversa dalle ultime rimaste in memoria, per esempio quella di Gardiner a Venezia nel 2017 e soprattutto le versioni video. A Palermo è giunto dopo più di vent’anni lo spettacolo di Philippe Pierlot con la regia di William Kentridge che aveva raccolto ampi entusiasmi al Festival des Arts di Bruxelles nel 1998 e poi in tour in tutta Europa. Tante le diversità rispetto alle versioni più o meno integrali e fedeli: musicista e regista hanno ridotto l’opera quasi alla metà (140 minuti) tagliando personaggi, dialoghi, ritornelli e scene intere, non a caso ovviamente ma seguendo una precisa idea narrativa, basata sul primo personaggio allegorico del Prologo ad entrare in scena, la “Humana fragilità”, che è causata nell’uomo dal Tempo, mentre sul suo destino si scatenano poi gli effetti di Fortuna e Amore. Il disegnatore e regista sudafricano Kentridge non si basa sul mito omerico e tanto meno sull’ideologia libertina degli Incogniti: Ulisse è un corpo sottoposto a ispezioni mediche con varie tecniche, e mostra le sue pulsioni e la sua fragilità su uno schermo, che trasforma gli orrori degli organi malati in immagini di struggente bellezza. Gli interpreti cantano in abito moderno accompagnando i loro doppi, marionette in altezza naturale maneggiate con abilità dalla Handspring Puppet Company (non tutte le voci sono adeguate, specie nella pronuncia italiana: svettano quelle di Antonio Abate e di Hanna Bayodi-Hirt). Altra grande diversità di questa produzione è nella concertazione di Philippe PIerlot, che ha voluto solo sette esecutori, senza violini, fiati e soprattutto senza cembalo: arpa, tiorba, chitarra e quartetto di viole da gamba con lirone (rispettivamente Pessi, Zapico, Egüez, Boulanger, Zipperling, Colonna e lo stesso Pierlot). Non è mai esistita una compagine simile nei teatri veneziani del tempo di Monteverdi, ma le sonorità sono indubbiamente accattivanti, dolcissime a tratti, molto danzanti con la chitarra in altri. Il pubblico ha accolto con grande entusiasmo la produzione e ovviamente il ritorno di Monteverdi (dopo una memorabile edizione con Garrido nel 1998) confermando che quando un teatro italiano “rischia” con il barocco è premiato sempre. Il 10 febbraio i bambini palermitani hanno giocato a montare Il Ritorno di Ulisse in teatro.
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